Il Reddito di cittadinanza non dovrebbe essere cancellato, ma, senza dubbio, subirà una profonda rivisitazione. Questa, almeno, è l’idea del ministro del Lavoro, Andrea Orlando, che punta al mantenimento di uno strumento che negli ultimi due anni ha arginato il dilagare della povertà in Italia, ma, contestualmente, non ha sortito gli effetti sperati in chiave occupazionale. Basta guardare i numeri, per accorgersene: sono 750mila, oggi, i percettori del sussidio che attendono ufficialmente un nuovo lavoro.



Come analizza il quotidiano “La Stampa”, uno dei punti più critici dell’attuale struttura dell’Rdc riguarda le famiglie con figli minori, che sono quelle, statistiche alla mano, che soffrono di più le condizioni di povertà. Quindi, uno dei primi correttivi allo studio da parte dei tecnici riguarda proprio questa voce. Stando agli ultimi dati (luglio 2o21), il Reddito di cittadinanza è andato prevalentemente ai single (il 44% dei beneficiari), mentre le famiglie numerose, quelle di appena cinque componenti, rappresentano il 7,7% della platea degli assistiti. In pratica, hanno ricevuto il sussidio 610.683 famiglie composte da una sola persona e 106.783 con cinque componenti.



REDDITO DI CITTADINANZA: COSA SARÀ CAMBIATO?

Il Reddito di cittadinanza dovrà essere modificato anche per quanto riguarda le disparità territoriali in termini di costo della vita. È indubbio, infatti, riporta ancora “La Stampa”, che nelle regioni del Nord il costo della vita sia più alto che nei piccoli centri del Mezzogiorno. Occhio di riguardo, poi, per gli stranieri: sino a questo momento sono troppo pochi i beneficiari rispetto alla quota di famiglie composte
da uno o più stranieri che versano in condizioni di povertà. A fronte di 2,6 milioni di cittadini italiani che percepiscono l’Rdc ci sono appena 327mila cittadini extracomunitari con permesso di soggiorno Ue e 122mila cittadini europei.



Infine, le politiche attive incarnano l’aspetto più critico del meccanismo. Per questo motivo, d’intesa con le Regioni, si pensa di superare l’esperienza dei navigator e dei centri per l’impiego, che non sono ancora riusciti a proporre ai 750 mila percettori dell’Rdc un patto per tornare al lavoro. “La Stampa” scrive che l’ipotesi più plausibile potrebbe essere quella di attivare una sinergia pubblico-privata affiancando alle strutture pubbliche (da sempre a corto di personale) le agenzie private di collocamento, prevedendo poi un tracciamento di tutte le offerte attraverso una nuova banca dati nazionale.