Una plastica dimostrazione di come sono rapidamente cambiati i tempi della comunicazione è data dall’andamento delle conferenze stampa del premier Mario Draghi distanti anni luce da quelle del suo predecessore Giuseppe Conte. Non è solo per la qualità delle risposte, quanto soprattutto per la loro concisione. Qualità che deve aver contaminato i membri del Governo che si stanno adeguando al nuovo corso.
Domande brevi, repliche essenziali. Senza fronzoli e svolazzi primi responsabili di equivoci e incomprensioni. Uno stile nuovo (o ritrovato) che sembra piacere ai cittadini disposti a tributare all’ex presidente della Banca centrale europea un consenso partito alto e in continua ascesa. In forza della speranza – sempre l’ultima a morire – che questa volta si faccia finalmente sul serio.
Gli italiani, insomma, investono sulla prospettiva che i soldi del Next Generation Eu siano utilizzati bene (secondo il principio dell’ormai famosa spesa buona) in funzione di una ripresa dell’economia e dell’occupazione in grado di trascinare il Paese fuori delle secche della grande crisi, anche sanitaria e sociale, che stiamo vivendo. Ben sapendo che questo presidente del Consiglio è una risorsa di ultima istanza.
Bastano dunque poche frasi semplici e affilate per dire come funzionerà il pass vaccinale, che strada dovrà prendere la riforma della giustizia, in che modo ci si prepara all’ammodernamento del fisco. Tutte questioni dirimenti perché in assenza di un radicale cambiamento delle regole del gioco i generosi finanziamenti dell’Unione si fermeranno alla prima tranche con buona pace di chi ha creduto nella rivoluzione.
La variabile cruciale a questo punto è il tempo. Occorre che in autunno, al ritorno dalla pausa estiva che interrompe la pausa pandemica, accada qualcosa di concreto e misurabile. Qualcosa che induca la popolazione in attesa di miracoli a pensare che la fiducia non sia stata posta invano e che, sì, il carrozzone nazionale impantanato nella palude del nonsipuotismo comincia sia pure con fatica a muoversi.
Anche perché nel frattempo si assiste al pericoloso adattamento – principale virtù nella conservazione della specie – all’arte di arrangiarsi elevata al quadrato che si basa sul reddito di cittadinanza e altre scomode comodità. Mentre si predica per l’inclusione e la riduzione delle disuguaglianze, si assiste infatti a fenomeni di crescente polarizzazione con persone, territori e aziende via via più marginali.
Se da una parte si tira per un nuovo riconoscimento del merito e dell’impegno, dall’altra si creano le condizioni per il disimpegno. Con crescente domanda di ammortizzatori che rendano la vita meno dura da affrontare e tutto sommato sopportabile se ci si accontenta. E tutto questo a prescindere dalle buone intenzioni e dai migliori propositi di chi si trova al comando di una comunità sempre meno solida.
E poiché non c’è nulla che richiami il successo più del successo è necessario che al successo si spiani la strada senza timidezze o imbarazzanti rinvii. Non c’è una partita di ritorno che possa rimediare a quella di andata. Ci giochiamo tutto qui e subito: il tempo che abbiamo va usato e non consumato. Una pratica con la quale dobbiamo riprendere dimestichezza costi quel che costi.
Anche perché, in assenza di un pronto rimedio, non potremo più lamentarci della circostanza che i giovani pronti e preparati decidano di spendere altrove la propria esistenza privata e professionale conquistando all’estero quei riconoscimenti negati in patria. Creare ricchezza e diffondere benessere sono processi lunghi e complessi che possono funzionare solo in presenza di un elevato capitale umano.
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