In pochi giorni il Reddito di cittadinanza è stato al centro dell’attenzione. Abbiamo avuto il rapporto di valutazione da parte della commissione di esperti nominata dal precedente ministro del Lavoro e i primi provvedimenti correttivi da parte del Governo in carica. Commenti degli esperti e decisioni dei ministri non sono proprio indirizzati nella stessa direzione.



Molto probabilmente, come ha già scritto su queste pagine Natale Forlani, la composizione della commissione fatta con esperti che avevano condiviso la scelta del modello Reddito di cittadinanza ha pesato nel dare giudizi e correttivi di poca incidenza.

Il Governo, sulla base di un lavoro preparatorio da parte di un gruppo di ministri, ha invece affrontato di petto le critiche di fondo che stavano alla base dell’esigenza di intervenire. La misura del Reddito di cittadinanza doveva riguardare un intervento di sostegno al reddito per le famiglie che rimanevano sotto la soglia della povertà. A questo obiettivo si era però aggiunto anche quello di politica per l’occupazione. L’assunzione dei navigator, in rafforzamento dei Centri per l’impiego, avrebbe dovuto assicurare offerte di lavoro congrue ai percettori del reddito.



La situazione che si è presentata dopo questa prima fase di applicazione è stata però fallimentare sotto tutti gli aspetti. Pur lasciando da parte le falle rilevate nel sistema che hanno favorito un numero eccessivo di furbetti, la rilevazione rispetto all’obiettivo povertà non è stato raggiunto. Per come si era configurata la misura si era determinata una situazione per cui chi più aveva bisogno, famiglie con figli minori, meno riceveva. Anche il pregio di avere introdotto una misura di sostegno al reddito prima dell’esplosione della pandemia, e che ha permesso di avere a disposizione uno strumento utile nella fase di maggiore bisogno, è stato oscurato dall’emergere di troppi casi di abusi e di concessioni a non aventi diritto.



La confusione derivava essenzialmente dall’avere sovrapposto famiglie con esigenze diverse. Casi di povertà che potevano trovare soluzione attraverso inserimenti lavorativi insieme a casi di famiglie in cui la povertà era determinata da una somma di fragilità che spesso impedivano anche di prendere in considerazione eventuali opzioni lavorative. L’intervento deciso dal Governo pone le basi per tornare a dividere l’offerta di servizi in funzione della reale condizione delle persone. Se quasi due terzi degli assistiti con Reddito di cittadinanza non è occupabile senza interventi assistenziali di altro tipo si devono prevedere interventi diversificati. Probabilmente si tornerà a suddividere in base alle esigenze delle famiglie quanti necessitano di interventi dei servizi socio assistenziali del territorio e quanti possono trovare nei servizi al lavoro possibili percorsi per uscire dalla condizione di povertà.

Le misure di maggiore attenzione ai calcoli e alle autocertificazioni sulla situazione patrimoniale dei nuclei famigliari dovrebbe portare ad avere maggiore equità verso i nuclei più numerosi e anche a un riequilibrio nella distribuzione territoriale.

Il segno della svolta riguarda però le scelte fatte per coloro che possono trovare risposte attraverso il lavoro. Qui si sono introdotti alcuni sistemi che vengono utilizzati correntemente nelle politiche attive del lavoro in tutta Europa. Chi ottiene un contributo al reddito perché disoccupato deve dimostrare che si impegna a cercare una nuova occupazione, non può rifiutare offerte di lavoro senza ragione e, qualora non osservasse le indicazioni, avrebbe un taglio al contributo economico.

Per i fruitori del Reddito di cittadinanza che faranno capo ai Centri per l’impiego, con un incontro almeno mensile, sono state introdotte regole analoghe con diminuzione dell’assegno mensile a fronte di un rifiuto immotivato e la sospensione del beneficio in caso di due rifiuti a offerte di lavoro congrue.

Come detto sopra, sono le regole che in tutti i Paesi stanno alla base dei servizi di politiche attive del lavoro. Prendersi in carico il disoccupato proponendogli un percorso di adeguamento della sua occupabilità e di ricerca di un’opportunità lavorativa è il compito assegnato alla rete dei servizi. È su questo punto che si registra una stravagante protesta di parte sindacale motivata dalla previsione di superamento della fallimentare esperienza dei navigator.

Il provvedimento governativo chiude infatti i finanziamenti per il prosieguo di quella esperienza perché assegna le risorse per il potenziamento del personale per i Centri per l’impiego. In alcune regioni sono già stati svolti i concorsi e spesso sono stati proprio i navigator a ottenere la nuova assegnazione. Se dimostrano capacità acquisita con l’esperienza di questi anni sono proprio loro le figure di cui necessitano i Centri per l’impiego pubblici. Dopo un lungo periodo in cui hanno svolto solo compiti burocratici dovrebbero velocemente sviluppare una capacità di incrocio fra domanda e offerta di lavoro. Per questo servono professionalità specifiche e possono essere, almeno per larga parte, assicurate tramite l’assunzione degli stessi navigator.

Anche con questo primo potenziamento e poi con quanto previsto dal Pnrr la rete dei servizi pubblici per l’impiego non copre la necessità di diffusione di centri preposti a prendere in carico i disoccupati per cercare nuova occupazione. Per questo, come già avviene nelle regioni che hanno già sperimentato un sistema di politiche attive del lavoro, il Governo ha coinvolto le Agenzie per il lavoro private e gli enti accreditati a livello regionale.

Contro questa indicazione si sono levate le proteste del bipopulismo di destra e sinistra. Far guadagnare i privati sulla povertà e altre amenità di questo tipo stanno alla base di minacce di mobilitazioni. Ancora nel 2021 si deve spiegare la differenza fra servizio pubblico, che è per tutti indipendentemente da chi lo fornisce, e proprietà pubblica che indica chi possiede i servizi. Il tema vero è la capacità pubblica di programmare e assicurare la valutazione dei servizi dati alle persone perché indipendentemente da chi fornisce il servizio siamo sempre noi a pagare con fondi pubblici. Efficienza ed efficacia dei servizi fanno a la differenza e l’esperienza di solo Stato, anche se dei soviet o delle corporazioni, non è stato un bell’esempio né di efficienza, né di efficacia e nemmeno di equità.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI