Al settembre 2020 1.132.737 famiglie povere hanno ricevuto un sostegno economico grazie al Reddito di cittadinanza (RdC), l’80% circa di quelle in condizioni in povertà assoluta stimate dall’Istat nel 2019. I membri adulti di queste famiglie che risultano beneficiari del RdC sono 2.148.219, a cui si aggiungono i minori che sono 705.321. Bastano questi numeri per comprendere come questo strumento abbia riscontrato uno straordinario successo nel contrasto della povertà in Italia, milioni di famiglie hanno riacquistato una propria dignità personale e una minima indipendenza economica.



I difetti dello strumento stanno soprattutto nell’incapacità di tutelare le famiglie numerose e su questo versante andrebbe riformulata la misura. Tuttavia, a essere messa sulla graticola è la cosiddetta “Fase 2 del RdC”, ovvero l’incapacità di collocare nel mercato del lavoro oltre un milione di adulti tenuti a recarsi al Centro per l’impiego e obbligati alla sottoscrizione di un Patto per il lavoro. Si tratta di un’utenza svantaggiata, nei confronti della quale non è semplice trovare un impiego.



Il capro espiatorio di questi “insuccessi” è stato il presidente dell’Anpal Mimmo Parisi, pagine e pagine di quotidiani sono stati spesi per discutere sul suo compenso, sui suoi viaggi e rimborsi negli Stati Uniti, se ci aggiungiamo il delicato tema della gestione dei Navigator, abbiamo definito l’intera discussione di questi due anni sulle politiche attive del lavoro.

Eppure, né Mimmo Parisi, né i Navigator sono i responsabili, se vogliamo proprio trovare dei colpevoli alla scarsa collocazione dei destinatari del Reddito di cittadinanza, sarebbe opportuno guardare chi per il Titolo V della Costituzione è il vero responsabile delle politiche attive del lavoro, ovvero le Regioni. Dopo 18 mesi sarebbe interessante comprendere quali politiche sono state realizzate attraverso l’uso del Fondo sociale europeo per aiutare i Navigator nella difficile ricollocazione dei disoccupati: probabilmente quasi nessuna (spero di essere smentito).



Neppure i Comuni sempre in questi 18 mesi sono stati collaborativi, appena il 5% ha realizzato regolamenti per impiegare in attività socialmente utili i destinatari del RdC, è tutti gli altri perché non hanno “utilizzato” questa manodopera? Anche comprendendo difficoltà gestionali, 18 mesi è veramente tanto tempo, possibile non aver avuto neppure una settimana da impiegare per definire i regolamenti attuativi alla norma nazionale?

La verità è che la “Fase 2” paga a carissimo prezzo la scarsa, se non nulla, collaborazione del territorio, il quale ha svolto soprattutto attività di carattere spontaneo e occasionale per la buona volontà di qualche Assessore o dirigente, piuttosto che di una visione organica di riorganizzazione delle politiche del lavoro in favore dei destinatari del RdC.

Facile prendersela con l’italo-americano Mimmo Parisi e l’App Lavoro, che poi la vogliamo finire di chiamarla così? Possibile che per colpa dell’incapacità (e ignoranza) dei politici non si comprenda che quella non è una piattaforma di incontro tra domanda e offerta di lavoro, ma uno strumento predittivo delle fonti amministrative per sviluppare modelli di machine learning per servizi di orientamento e targeting dell’utenza? Cosa significa? Sei un disoccupato che vuole fare il manutentore, il sistema ti indica quali enti formativi ti offrono i percorsi per prendere la qualifica, quante chance occupazionali ci sono nel tuo territorio, che tipo di contratto di verrà offerto, quali aziende operano nel settore, ecc. Questo è il targeting con la funzione di orientamento, non è difficile e attuarlo costa!

Il bello è che nessuna Regione dispone neppure lontanamente di un sistema del genere, mentre è ormai normale prassi in tantissimi Paesi, compreso il famoso Mississippi. Non è stato realizzato in Italia perché in questo Paese (il Ponte Morandi né è la prova regina) il codice degli appalti e l’apparato amministrativo sono letteralmente terrificanti.

Certo, i Navigator prima di essere assunti non avevano nessuna esperienza, non avrei sicuramente fatto quella selezione, ma adesso questi soggetti tutti laureati hanno ricevuto più formazione di qualsiasi dipendente del Centro per l’impiego negli ultimi dieci anni. Non dico che sono esperti, ma certamente non sono più sprovveduti e mandarli a casa senza “sfruttare” queste competenze è pura follia.

Altra follia è l’attuale concorsone dei funzionari dei Cpi, quasi esclusivamente di carattere giuridico, perfetto per un laureato in giurisprudenza (i primi ad andarsene appena lo potranno fare), non per uno psicologo sociale, un esperto in selezione o un orientatore, che sono le figure più preziose per i futuri Centri per l’impiego.

Infine, vorrei toccare un tema che quando lo sento, confesso, “prendo la pistola”, ovvero l’idea che i beneficiari del RdC possano colmare la difficoltà di reperimento delle imprese, soprattutto quelle figure tecniche così difficili da trovare. Ormai è diventato leitmotiv, quante volte leggete: i giovani non vogliono lavorare, preferiscono starsene sul divano e prendere il sussidio. È una cosa che mi fa “imbestialire”, innanzitutto i giovani che prendono il RdC sono pochissimi, sono quasi tutte persone adulte e se il beneficiario rifiuta un lavoro è perché il salario proposto è un vero “schifo” e non perché non ha voglia di lavorare. Inoltre, vogliano una volta per tutte smontare questa assurda storia della “difficoltà di reperimento”? Molte imprese trovano più facile spendere tempo in proclami su giornali che pagare agenzie di selezione specializzate nel reclutamento e soprattutto garantire contratti di lavoro decenti.