Il 4 marzo u.s. l’Istat ha comunicato, in via preliminare, alcune stime sull’andamento della povertà assoluta in Italia nel corso del 2020. Un’anticipazione di quella più generale sull’andamento dei redditi delle famiglie residenti in Italia che sarà pubblicata tra qualche mese, ma comunque estremamente utile per comprendere l’impatto economico e sociale della crisi sanitaria sulla popolazione più vulnerabile della nostra comunità nazionale. L’aumento del numero dei nuclei familiari, e delle persone appartenenti nelle condizioni di povertà assoluta, che viene stimato sulla base di un paniere di beni ritenuto indispensabile per evitare le condizioni di grave indigenza, era ampiamente atteso, nonostante i numerosi interventi adottati dal Governo per sostenere i redditi delle persone nel corso dell’ultimo anno. Resta il fatto che i numeri contenuti nell’analisi, poco più di 2 milioni di famiglie e 5,6 milioni di persone povere, rappresentano il valore più elevato nelle serie annuali storicamente disponibili (2007). E un brusco aumento di 335 mila nuclei e di un milione di persone rispetto al 2019.



Un incremento legato in particolare al significativo peggioramento delle condizioni: delle famiglie più numerose e con figli minori a carico, passato dal 9,2% al 11,6% sul totale delle famiglie di riferimento (dal 6,4% al 7,7% per la media generale); dei nuclei composti da solo stranieri (dal 22% al 25,7%); della quota dei nuclei residenti nel Nord Italia (+260 mila).



A parziale compenso, l’Istat evidenzia una riduzione dell’intensità media della povertà, che stima la distanza tra i consumi effettivi rispetto al paniere di quelli ritenuti indispensabili, dal 20,3% al 18,7%. Un risultato attribuito ai provvedimenti di sostegno al reddito governativi, in particolare al Reddito di cittadinanza (Rdc), e a quello introdotto pro tempore del Reddito di emergenza (Rem).

Quest’ultimo dato stimola una riflessione riguardo l’efficacia degli strumenti adottati nel corso della pandemia per contrastare i livelli di impoverimento della popolazione, connessi: alla perdita del lavoro, all’impossibilità di trovarlo, ovvero per la drastica riduzione delle attività per i lavoratori autonomi. Le causali che sono state utilizzate dallo stesso Governo per ampliare i confini, e i finanziamenti, del Rdc e del Rem, e di una serie di bonus erogati a ex lavoratori a termine, stagionali, collaborazioni, partite Iva, prolungamenti della indennità di disoccupazione, per decine di miliardi (senza tener conto delle casse integrazioni che riguardano i lavoratori che rimangono formalmente occupati).



Un raffronto con i numeri dei beneficiari del Reddito di cittadinanza e di quello di emergenza, ufficializzati dall’Osservatorio dell’Inps, ci aiuta nel fare una valutazione di questi due provvedimenti. Nel corso del 2020 l’Istituto di previdenza dichiara di aver accolto 1,650 milioni di domande per il Rdc, e 125 mila per la pensione di cittadinanza, per un numero di circa 3 milioni di beneficiari, e con un’erogazione media di 543 euro mensili per ogni nucleo familiare. Per il Rem, che ampliava i requisiti di reddito e patrimoniali per poter accedere ai benefici alle due erogazioni una tantum erogate nel 2020 e che si vorrebbe ripristinare anche per l’anno in corso, sono state accolte 292 mila e 254 mila domande, rispettivamente per 702 mila e 581 mila persone (in buona parte sovrapponibili in quanto riproposte per gli stessi potenziali beneficiari), un importo medio di 560 euro mensili.

Complessivamente oltre 2 milione domande accolte per altrettanti nuclei familiari, e almeno 3,4 milioni di beneficiari complessivi, per ottenere il risultato della crescita di un milione di nuovi poveri, con la parziale consolazione di una riduzione dell’1,6% del grado di povertà. Come tutto questo sia potuto, e continui ad accadere, non è difficile da comprendere.

L’Istat stima la condizione di povertà assoluta sulla base dei trend reali di spesa delle famiglie. Il Rdc e quello di emergenza selezionano i beneficiari sulla base delle autocertificazioni sul reddito e sui patrimoni, in assenza dei controlli previsti con l’utilizzo delle banche dati delle amministrazioni, in quanto non disponibili. Con il risultato di favorire gli abusi di massa, quasi del tutto impuniti, ampiamente documentati dalla Guardia di finanza. 

I criteri utilizzati per calcolare gli importi da erogare per il Reddito di cittadinanza privilegiano i nuclei familiari monocomposti o poco numerosi (infatti quasi il 40% dei beneficiari sono single), l’Istat documenta che le famiglie più esposte sono quelle numerose. Per avere il Reddito di cittadinanza è necessario possedere la residenza in Italia da almeno 10 anni, un requisito che ha più che dimezzato la partecipazione degli immigrati (il 28% sul totale delle famiglie povere), escluso una parte significativa dei minori e alterato la distribuzione territoriale del provvedimento, dato che la concentrazione degli stranieri è largamente maggioritaria nelle regioni del Nord Italia.

L’incidenza delle erogazioni del Rdc nel Mezzogiorno (56%) risulta sovrastimata rispetto a quella rilevata dall’Istat per i nuclei familiari poveri residenti nella stessa area (38%). L’opposto di quanto avviene per le regioni del Nord Italia (28% Rdc e 47% Istat).

È largamente diffusa la convinzione che l’obiettivo di reinserire al lavoro I beneficiari del Rdc sia ampiamente fallito. Ma, nonostante il cambio del Governo, rimane altrettanto diffusa la convinzione che l’attuale istituto del Rdc rappresenti uno strumento utile per contrastare la povertà. Cioè che la politica dei sussidi, da erogare indistintamente a prescindere dalle cause della povertà, con criteri privi di senso, e in assenza di un sistema adeguato di controlli, sia una cosa seria.

Eppure basterebbe poco per riformare questo obbrobrio. Ad esempio, oltre che riportare le politiche attive del lavoro nelle regole vigenti per tutte le persone in cerca di lavoro, introducendo l’assegno unico per il sostegno dei minori a carico anche per le famiglie fiscalmente incapienti. Una misura ben più efficace per tutelare le famiglie numerose, già ampiamente condivisa in Parlamento, e in grado di dimezzare il numero dei beneficiari del Rdc. Oppure prendendo atto che per alcune cause della povertà, la dipendenza da alcool, droghe, giochi d’azzardo e devianze varie, la politica dei sussidi è controproducente e dovrebbe essere sostituita con servizi di supporto adeguati.

Non invento nulla. È quello che si fa in tutti i Paesi della vecchia Europa per affrontare questo tipo di problemi. Ma in Italia c’è chi preferisce, per motivi elettorali o per manifesta incompetenza, bruciare le foreste per fare le uova al tegamino.