Il reddito di cittadinanza è arrivato alla prima scadenza, quella dei 18 mesi, che imporrà a circa 600mila beneficiari di rinnovare la richiesta di usufruire dei benefici entro l’anno in corso, previa verifica delle condizioni patrimoniali e di reddito. La messa a regime del provvedimento ha confermato purtroppo la validità delle critiche che erano state avanzate da diverse parti sul provvedimento in gestazione, tanto da indurre il presidente del Consiglio a proporre in modo perentorio l’esigenza di portare alcune correzioni all’impianto del Rdc. Il Conte-2 che critica il Conte-1 è probabilmente il segno di un cambiamento degli equilibri politici interni alla maggioranza, dato che il capo dell’esecutivo si era avventurano qualche mese fa nell’esaltare il successo del reddito di cittadinanza, accreditando, d’intesa con il presidente dell’Inps Pasquale Tridico, il risultato di una riduzione del 60% del numero delle persone in condizioni di povertà assoluta, successivamente smentito dalla analisi dell’Istat sull’andamento dei redditi delle famiglie che lo ridimensionava a un misero – 0,4% delle famiglie interessate rispetto al 2018. Un risultato analogo a quello intervenuto anche per il numero dei nuclei familiari a forte rischio di impoverimento, in assenza di un’ erogazione di sussidi pubblici.



Le critiche che erano state formulate alla proposta del reddito di cittadinanza, ancor prima della sua emanazione, erano sostanzialmente quattro:

– l’eccesso dei sussidi finanziari rispetto ai servizi da erogare sulla base delle specifiche cause di formazione della povertà e del disagio sociale delle persone e dei nuclei familiari;



– la scarsa considerazione offerta ai carichi familiari rispetto ai nuclei monocomposti e alle coppie senza figli;

– di aver concentrato le risorse delle politiche attive del lavoro sui beneficiari del reddito di cittadinanza a discapito del complesso dell’insieme delle persone in cerca di lavoro, offrendo loro la possibilità di rifiutare le proposte a tempo determinato e a orario ridotto;

– l’eccessiva fretta nel far partire il nuovo provvedimento in assenza di un efficace sistema di controllo dei redditi e dei dati patrimoniali dei potenziali beneficiari.

Giova ricordare che dal provvedimento erano stati esclusi gli stranieri extracomunitari con meno di 10 anni di residenza in Italia. Quest’ultima scelta ha finito per edulcorare la concreta attuazione del provvedimento rispetto ai risultati dell’indagine svolta dall’Istat sulle famiglie in condizioni di povertà assoluta, data la notevole incidenza delle famiglie straniere in queste condizioni, circa il 30%, una quota cinque volte superiore a quella dei nuclei composti da soli italiani, anche per via della maggiore incidenza dei minori a carico. Sul versante opposto, nei tre milioni di persone raggiunte nel corso della vigenza dell’intervento la quota dei cittadini italiani risulta abbondantemente superiore alle stime offerte dall’Istat.



Gli effetti pratici sono confermati dai numeri del monitoraggio effettuato dall’Inps. La quota dei nuclei monocomposti, e delle coppie senza figli, è di gran lunga superiore a quella delle famiglie con minori a carico, sottodimensionati per circa 400mila unità rispetto alle richiamate rilevazioni dell’Istat. Sulla natura delle prestazioni e dei servizi rivolti a contrastare i disagi (abbandoni scolastici, alcolismo, tossicodipendenza, condizioni di degrado familiare) non vengono forniti dati da commentare. Per le politiche attive, la distesa di un velo pietoso era ampiamente da mettere in conto, data la pretesa di favorire l’inserimento lavorativo consentendo agli interessati, cioè la fascia più debole del mercato del lavoro e quella più difficilmente occupabile, di poter rifiutare le offerte di lavoro a termine e a part-time, e comunque quelle inferiori a 856 euro mensili. In pratica il 70% dei contratti di lavoro che vengono attivati ogni anno e che svolgono abitualmente gli altri lavoratori italiani e stranieri. Il tutto consegnato a degli improvvisati navigator assunti con un contratto di collaborazione a termine per fare, nella pratica, una specie di tirocinio professionale, utilizzando una piattaforma tecnologia che doveva generare effetti mirabolanti sull’incontro domanda-offerta di lavoro, di cui si è persa traccia.

L’agenzia nazionale Anpal Servizi rende noto che circa 220mila ex beneficiari del reddito di cittadinanza, sui potenziali 1, 2 milioni in età di lavoro che dovrebbero sottoscrivere il patto di servizio, avrebbero trovato un impiego, e che più di 100mila tra loro sarebbero ancora attualmente occupati, grazie al lavoro dei navigator. Questo dato viene fornito dal sistema delle Comunicazioni obbligatorie sulle assunzioni operate dai datori di lavoro, e, con tutta probabilità, è legato all’intraprendenza spontanea dei disoccupati interessati percettori di un assegno contenuto per il reddito di cittadinanza. Una quota di assunzioni pari a quella che si sarebbe verificata anche in assenza di politiche attive specifiche. Mentre sarebbe molto interessante indagare le mancate assunzioni dei beneficiari, interessati a conservare più a lungo possibile il sussidio, e che hanno rifiutato le offerte di lavoro disponibili in quanto ritenute poco convenienti rispetto all’assegno pubblico, anche per la possibilità di integrarlo con lavori sommersi. Come denunciano moltissimi imprenditori su tutto il territorio italiano. In buona sostanza, sarebbe interessante comprendere quanti mancati posti di lavoro ha provocato il reddito di cittadinanza.

Il secondo velo pietoso va steso sui sistemi di controllo. Nessuna delle banche dati incrociate tra enti per verificare le condizioni di reddito e di patrimonio dei beneficiari è operativa. In pratica, la gran parte delle domande viene riscontrata sulla base delle autocertificazioni dei richiedenti e i controlli vengono affidati alle indagini campione della Guardia di finanza, che rilevano statisticamente una consistente presenza di abusi ma con una bassa attivazione delle contestazioni. Significativo il fatto che buona parte dei cosiddetti furbetti venga rintracciata sulla base di indagini penali condotte per altri motivi.

Questo è lo stato dell’arte, di un sistema con forti motivazioni clientelari che si è consolidato nei territori, e che resisterà a ogni tentativo di modificare le prestazioni in essere. Non vale nemmeno la pena scommettere sulla possibile riforma, nessun bookmaker l’accetterebbe. All’ordine del giorno ci saranno le proroghe dei sussidi. Del resto l’emergenza Covid è servita anche per moltiplicarli.