Nelle sue prime settimane di lavoro il Governo Meloni, in attesa di mettere le carte in tavola sulla Legge di bilancio (anche dalla revisione della Nadef è fatica farsi un’idea sui contenuti), ha proceduto a colpi di spot identitari allo scopo di dimostrare che la scopa nuova spazza meglio di quella vecchia. Se mettiamo in fila i principali provvedimenti finora assunti o annunciati siamo in grado di sostenere che il nostro non è un processo alle intenzioni. Come potremmo definire altrimenti la sospensione della riforma Cartabia (anche nella parte che riguarda l’estensione delle pene alternative) insieme al tentativo di sottrarsi al giudizio della Consulta sull’ergastolo ostativo? La logica è sempre quella della certezza della pena, tanto che nella legislatura precedente FdI aveva manifestato l’intenzione di modificare la Costituzione laddove stabilisce la funzione riabilitativa della pena.



Insieme a queste misure – con evidente diniego di quella legalità reclamata come linea generale del Governo – è stata varata una sorta di amnistia per il personale sanitario no vax (la norma non è ancora ben chiarita, perché sono in corso dei ripensamenti specie per quanto riguarda l’eventuale restituzione delle contravvenzioni effettuate agli anziani renitenti alla vaccinazione). Poi il Governo si è affidato all’usato sicuro del contrasto all’immigrazione clandestina e segnatamente al naviglio delle Ong cariche di migranti raccolti nel Canale di Sicilia. È questo l’argomento più collaudato per polemizzare con l’Europa che ci lascia soli a difendere i confini non solo dell’Italia ma del Vecchio continente. In fondo, a pensarci bene, anche l’orientamento di destinare la gran parte delle risorse disponibili sul caro bollette è ascrivibile alla logica degli spot. Di che cosa sono preoccupate le famiglie e le imprese se non delle “stangate” monetarie riguardanti il consumo di energia?



Prima o poi il Governo dovrà mettere le carte in tavola anche sul “che fare?” dei due problemi che sono stati al centro della campagna elettorale. Le pensioni, prima di tutto. Riuscirà Matteo Salvini nell’intento perseguito da un decennio di cancellare la riforma Fornero? Le proposte che circolano sono ancora vaghe. Vedremo se emergeranno delle novità in occasione dell’incontro di Meloni con le parti sociali, a ritorno dall’Egitto. Poi c’è la resa dei conti con il Reddito di Cittadinanza, minacciato di misure radicali durante la campagna elettorale.

L’Italia è proprio diventato un Paese singolare: vi sono misure che hanno un’appartenenza politica; che vengono tutelate oltre ogni ragionevolezza quando vi è una maggioranza di un certo tipo, mentre vengono ridimensionate quando la maggioranza cambia. Per quanto riguarda il Reddito di Cittadinanza nelle ultime ore le procure della Corte dei Conti hanno scoperto ciò che era noto dal 2019. Il Governo di allora, per ragioni di bottega, sollecitò l’Inps a erogare il reddito senza fare troppe storie. Lo “sventurato” Pasquale Tridico “obbedì”. Le procure della magistratura contabile hanno sollevato adesso il problema del danno erariale perché non furono effettuati adeguati controlli preventivi. Quanto alla revisione dell’istituto si naviga ancora nel vago. Le critiche colgono nel segno: il grande errore del Reddito di Cittadinanza sta nell’aver collegato uno strumento di contrasto alla povertà con un importante intervento di politiche attive (e sotto sotto di tendenziale stabilizzazione) del mercato del lavoro. La sola misura di revisione che sembra molto probabile è quella di ridurre a una sola la proposta di lavoro che il beneficiario, ritenuto abile al lavoro, deve accettare pena la perdita dell’assegno. Ma non si affrontano così le criticità emerse dall’esperienza di questi ultimi anni.



Le prime vittime di questa revisione sono quei navigator a cui non sarà rinnovato il contratto. E qui sta un vistoso paradosso: questi giovani furono assunti, sulla base di una selezione frettolosa e in polemica con le Regioni, quando non erano in grado di svolgere le mansioni loro affidate e vengono licenziati quando, dopo tre anni, hanno imparato sicuramente a svolgere quanto meno un lavoro d’ufficio nei Cpi. Tutto ciò in attesa dell’assunzione nei Cpi di migliaia di persone le quali, ovviamente, dovranno imparare il mestiere daccapo. I navigator pagano il fio di tutte le assurdità con cui è nato il Reddito di Cittadinanza. Eppure si tratta di giovani: l’età media è pari a 35 anni; solo il 24% ha superato i 40 anni; il 41% si colloca tra i 30 e i 40 anni; il 35% ha meno di 30 anni. Il 54% è formato da donne.

Il Governo di allora chiamò dal profondo Sud degli Usa un signore che assicurava di avere a disposizione una piattaforma informatica talmente perfezionata da poter mettere in rete persino i dati dei passeri e degli usignoli (salvo accorgersi poi che i dati devono essere conosciuti per poterli raccogliere). Poi venne il momento dei riti, della beatificazione della yellow card sotto teca e quant’altro. Meloni sa bene che non esiste la possibilità di dire ai beneficiari del Reddito di Cittadinanza ritenuti in grado di lavorare di arrangiarsi perché “la pacchia è finita” e che il Governo intende reperire risorse, destinate a chi non ha lavoro, per finanziare il pensionamento anticipato di coloro ai quali il lavoro non è mai mancato. Ma è il duro dato della realtà a mettersi di traverso perché i beneficiari ritenuti “abili al lavoro” non sono occupabili.

Ciò non dipende dallo scarso impegno dei navigator o dalla crisi, giacché ormai è acquisito che il mercato del lavoro soffre di una grave situazione di mismatch ovvero l’offerta di lavoro non è in grado di soddisfare la domanda, non solo sul piano delle professionalità richieste, ma anche per quanto riguarda il numero dei posti disponibili che vengono rifiutati.

Perché allora il meccanismo dello scambio non ha funzionato? Naturalmente alla base di tutti i processi economici e sociali non vi è mai un solo motivo, ma il dibattito, nel caso dei percettori del Reddito di Cittadinanza, gira attorno a un problema, emerso in tutta evidenza dall’esperienza fino a ora compiuta, ma trascurato per motivi incomprensibili. Tutte le ricerche e gli studi compiuti sugli utenti del Reddito di Cittadinanza ritenuti abili al lavoro sono arrivati alla conclusione che in verità questi soggetti non sono occupabili. La relazione del Comitato scientifico per la valutazione del Reddito di cittadinanza presieduto da Chiara Saraceno non esita a riconoscere, infatti, che “i beneficiari di Reddito di Cittadinanza, anche quando teoricamente ‘occupabili’, spesso non hanno una esperienza recente di lavoro e hanno qualifiche molto basse. Inoltre, i settori in cui potrebbero trovare un’occupazione – edilizia, turismo, ristorazione, logistica – sono spesso sono spesso caratterizzati da una forte stagionalità. I criteri attualmente utilizzati per definire congrua, e quindi non rifiutabile, un’offerta di lavoro non tengono conto adeguatamente di questi aspetti”, mentre sarebbe prioritario favorire la costruzione di un’esperienza lavorativa. Pertanto, anche la qualità del lavoro che viene offerto dovrebbe considerare “almeno temporaneamente, congrui non solo contratti di lavoro che abbiano una durata minima non inferiore a tre mesi”, ma anche quelli per un tempo più breve, purché non inferiori al mese, “per incoraggiare persone spesso molto distanti dal mercato del lavoro a iniziare ad entrarvi e fare esperienza”.

Se questa è la realtà si può ritenere che il Cpi o l’agenzia del lavoro se la possano cavare con l’offerta di un posto di lavoro a termine per pochi mesi? Ecco perché è prioritario impegnarsi per il miglioramento del capitale sociale dei beneficiari, secondo le indicazioni che Mario Draghi diede all’inizio del suo mandato: “Centrali sono le politiche attive del lavoro. Affinché esse siano immediatamente operative è necessario migliorare gli strumenti esistenti, come l’assegno di riallocazione, rafforzando le politiche di formazione dei lavoratori occupati e disoccupati. Vanno anche rafforzate le dotazioni di personale e digitali dei centri per l’impiego in accordo con le regioni”.

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