Quando nel 1967 Angela Brambati, Franco Gatti, Angelo Sotgiu e Marina Occhiena diedero vita alla band musicale dei Ricchi e Poveri non potevano sapere, e forse nemmeno immaginare, che al di là dei successi che avrebbero mietuto avrebbero con il loro nome definito – come meglio non si potrebbe – l’epoca che stiamo vivendo.
La globalizzazione, con il suo portato d’innovazione tecnologica, ha sì sollevato il livello generale del benessere nel mondo, ma lo ha fatto in modo non uniforme premiando alcuni e punendo altri. La società si è così divisa in vincenti e perdenti: sempre più ricchi i primi, progressivamente più poveri i secondi. Non a caso tra i principali problemi che ci troviamo ad affrontare, forse il più ostico da risolvere, troviamo l’aumento delle disuguaglianze – principalmente tra persone e territori – con le conseguenze che il fenomeno comporta per la crescita dell’economia e la stabilità dei rapporti umani.
La pandemia da Covid-19 non ha fatto altro che accentuare questa tendenza. Tanto che si propone con sempre maggiore forza il tema di come compensare i perdenti. Di come, cioè, i vincenti possano e debbano restituire qualcosa della fortuna accumulata anche se acquisita, come in molti casi, con merito.
Di fronte a un quadro di questo genere la politica s’interroga sugli strumenti da utilizzare. Da una parte pochi e privilegiati multimilionari (per non parlare dei multimiliardari), dall’altra una massa sempre più ampia di lavoratori sottopagati e, senza dubbio in molti casi, mortificati e sfruttatati.
Aumenta inoltre l’area di chi non possiede niente e coltiva l’arte di arrangiarsi anche all’interno di comunità opulente dove sembrerebbe possibile e doveroso consentire un riequilibrio delle forze mettendo gli esclusi nella condizione di accedere alle opportunità offerte dal progresso.
È chiaro che le scuole classiche e conosciute del pensiero politico ed economico non hanno tutte le risposte alle domande del momento e che il terreno incognito che ci troviamo a calpestare impone l’uso di formule nuove e di sperimentazioni condotte con coraggio e salutare spirito pragmatico.
Il mondo del lavoro, in particolare, sta subendo e subirà tali e tante trasformazioni da richiedere al più presto una strumentazione normativa e pratica che sia in grado di contrastare le derive più pericolose della polarizzazione in atto rimettendo in gioco gli ultimi, gli emarginati.
Si comprende così l’espressione del presidente del Consiglio Mario Draghi quando sostiene di condividere lo spirito di fondo del Reddito di cittadinanza. Lo spirito di fondo, non certamente l’applicazione spregiudicata che se n’è fatta, né tantomeno le distorsioni cui la misura ha dato vita.
Se si vuole conservare ciò che di buono il Reddito ha introdotto come necessario sostegno a chi non ha altri mezzi di sostentamento occorre senza indugio spazzare via il male di chi approfitta dell’opportunità per cumulare redditi in nero o evitare d’impegnarsi in attività che richiedono sacrificio.
Non c’è dubbio, tuttavia, che l’arma di riscatto più potente resti quella della formazione che porta conoscenza e competenza. La partita della vita si gioca su questo campo e questa è la sfida che dovranno accettare i giovani di oggi e le prossime generazioni. Creare ricchezza e redistribuirla con saggezza.
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