I numeri dei beneficiari del Reddito e della Pensione di cittadinanza (di seguito Rdc e Pdc) continuano a crescere nonostante la ripresa dell’economia e dei posti di lavoro. L’osservatorio statistico dell’Inps ieri ha comunicato che, nel corso primi 9 mesi del 2021, hanno beneficiato dei sostegni circa 1,680 milioni di nuclei familiari con 3,730 milioni di componenti, per un importo medio dell’integrazione al reddito di 578 euro mensili per il Rdc, e di 270 euro per le 160 mila famiglie che hanno ottenuto la Pdc.
Degli assegni del Reddito di emergenza, il provvedimento che ha integrato l’intervento del Rdc nel corso della crisi Covid fino al mese di maggio 2021 (con l’ampliamento dei requisiti di reddito e patrimoniali e la riduzione del periodo obbligatorio di residenza per accedere alle prestazioni), hanno beneficiato 590 mila famiglie e 1,3 milioni di componenti, per un importo medio mensile di 545 euro.
Complessivamente sono 2,3 milioni le famiglie, e oltre 5 milioni le persone che nel corso degli ultimi due anni hanno usufruito delle risorse pubbliche destinate a ridurre i livelli di povertà assoluta.
Nei primi 9 mesi dell’anno in corso sono state presentate poco meno di un milione di nuove domande, comprensive di quelle finalizzate al rinnovo della prestazione, con un aumento di 110 mila rispetto al dato consuntivo del 2020. Dalla data di vigenza del provvedimento (1 aprile 2019) sono stati spesi oltre 17 miliardi di euro. La più recente indagine dell’Istat sull’andamento dei redditi delle famiglie residenti in Italia, relativa al 2020, stima in 5,6 milioni il numero delle persone in condizione di povertà assoluta con un incremento di circa 1 milione rispetto al 2019.
Non deve essere trascurato che nel medesimo periodo sono stati erogati da parte dello Stato circa 60 miliardi di euro per contenere gli effetti della crisi Covid sui redditi dei lavoratori e delle famiglie.
I sostenitori storici del Rdc rivendicano con orgoglio di aver contenuto i danni e utilizzano i numeri citati per rivendicare l’esigenza di potenziare il Rdc con l’iniezione di risorse aggiuntive. Una richiesta che, almeno in parte, è stata riscontrata nel recente Documento di programmazione per la nuova Legge di bilancio approvato dal Consiglio dei ministri, con l’aggiunta di un ulteriore miliardo di euro ai 7,8 miliardi di spesa già previsti per il 2022.
Una tesi che viene incredibilmente avvalorata da buona parte dei commentatori, nonostante le indagini sul campo dimostrino ampiamente come i criteri di selezione dei beneficiari previsti dalla legge istitutiva, e la gestione approssimativa e priva di controlli efficaci delle domande inoltrate, finiscano per indirizzare le risorse verso soggetti, prevalentemente single, che non sono persone povere. Il tutto a discapito delle famiglie povere numerose, dei migranti indigenti, ma che non possono accedere al Rdc perché privi del requisito dei 10 anni di residenza e di una quota rilevantissima di minori, circa mezzo milione, in condizioni di povertà assoluta. Clamoroso il dato dei beneficiari nelle regioni del Sud e delle Isole che risulta superiore del 20% rispetto a quello stimato dall’Istat, e il corrispondente dimezzamento dei potenziali aventi diritto residenti nelle regioni del Nord Italia, territorio dove si è manifestato gran parte dell’aumento della povertà assoluta nel corso del 2020. Indicatori che mettono in evidenza anche le caratteristiche dei contesti ambientali che condizionano l’attuazione concreta del Rdc.
Nel frattempo l’introduzione dell’Assegno unico per i figli a carico in favore delle famiglie fiscalmente incapienti, allargato alle famiglie di origine straniera regolarmente soggiornanti (per un importo di 170 euro mensili per ogni figlio carico che diventano 220 euro nel caso di 3 o più figli), consente di fatto di correggere due delle principali storture del Rdc, con una iniezione di almeno 2 miliardi a carico di un altro capitolo della spesa statale. Una misura che potrebbe consentire di razionalizzare la scala di equivalenza delle integrazioni del Rdc per i carichi familiari, con un risparmio di risorse, e una riduzione delle nuove domande per l’effetto di contenimento preventivo dei rischi di impoverimento generato dalla nuova misura.
Curiosamente il tema non viene nemmeno ripreso nei propositi di riforma. La richiesta di nuove risorse continua a fare leva sull’esigenza di far fronte ai fabbisogni delle famiglie numerose, e sull’allargamento dei livelli di partecipazione degli immigrati ai benefici de Rdc.
L’eventuale intervento di riforma, che traspare tra le righe dei documenti e nelle dichiarazioni dei ministri, dovrebbe essere limitato ad aumentare i controlli preventivi sulla congruità delle domande del Rdc per ridurre gli abusi, e a introdurre vincoli più stringenti per l’accettazione delle nuove offerte di lavoro da parte dei beneficiari dei sussidi.
Sull’aspetto dei controlli non servirebbe nemmeno la riforma, dato che l’intervento delle banche dati incrociate tra le amministrazioni per verificare la congruità delle dichiarazioni dei redditi e patrimoniali è già previsto dalla legge attuale. Disposizioni che sono state aggirate con le autocertificazioni rilasciate dai richiedenti, per la scelta operata per fini elettorali di avviare in fretta e furia un provvedimento sconclusionato, sostituendo il reddito di inclusione vigente.
La riforma della parte relativa alle politiche attive del Rdc è semplicemente dovuta, se non altro per uniformare il sistema dei diritti doveri dei beneficiari del Rdc a quello previsto per tutti gli altri disoccupati. Nella realtà una politica attiva del lavoro per i beneficiari del Rdc è ancora tutta da inventare.
Se i propositi di riforma rimangono questi, la spesa assistenziale del Rdc è semplicemente destinata a salire, a prescindere dai reali fabbisogni, per l’effetto paradossale di dover rimediare i risultati fallimentari. Una specie di trappola della povertà, destinata a sovvenzionare il lavoro sommerso, e da utilizzare per fini elettorali.
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