Caro direttore,
l’intervista di Antonio Napoli a Nicola Oddati, esponente di spicco del Pd della Campania, nonché coordinatore delle “Agorà democratiche” del partito nazionale, offre una serie di spunti interessanti sulla natura delle politiche del lavoro che vanno per la maggiore nella componente più significativa della sinistra. Politiche che, secondo l’intervista, hanno come referente principale l’attuale ministro del lavoro Andrea Orlando.



Il dirigente del Pd non fa mistero di ritenere come un grave errore il superamento (peraltro graduale, ndr) del blocco dei licenziamenti. Dopo aver stigmatizzato le critiche di Matteo Renzi al reddito di cittadinanza, un atto ritenuto ormai indispensabile per marcare il distinguo con le politiche di destra, mette in fila le priorità delle nuove politiche del lavoro rappresentate (testuale) “dalla riduzione dell’orario di lavoro, dalla redistribuzione verso i giovani e le donne, le misure di integrazione e di sostegno al reddito universale, il salario minimo”.



Nel corso della non breve intervista queste suggestioni non trovano una particolare spiegazione. L’enfasi viene dirottata sulla necessità di una riforma che estenda ulteriormente gli ammortizzatori sociali, “alla luce della pandemia che avrebbe messo a nudo le fragilità del sistema di protezione sociale” e del reddito di cittadinanza che dovrebbe essere rafforzato “per motivi che sono sotto gli occhi di tutti”.

Commentare un’intervista estrapolando frasi o battute non è certamente una prassi corretta, ma la carenza di argomenti a sostegno degli obiettivi enunciati, e soprattutto la distanza tra le affermazioni e quanto sta accadendo nel mondo del lavoro, sollecitano qualche interrogativo.



Secondo l’autore le priorità assolute delle politiche del lavoro, annoverate nel capitolo “redistribuzione e inclusione” dovrebbero essere quelle di potenziare gli interventi di natura assistenziale, in particolare i sostegni al reddito per i disoccupati rivolti ad evitare i licenziamenti, alla luce di quanto avvenuto nel corso della pandemia. Cioè delle attività produttive che sono state interrotte per via di provvedimenti amministrativi di tipo straordinario, e originati da motivazioni extra-economiche che hanno giustificato l’erogazione di contributi economici da parte dello sSato verso le imprese e i lavoratori.

Questo non significa che il sistema precedente fosse perfetto. Ma sarebbe lecito comprendere il perché, ed eventualmente come cambiarlo, per affrontare il ritorno al normale funzionamento delle attività produttive e del mercato del lavoro, dato che la riforma vigente è stata voluta fortemente e approvata non più di 6 anni fa dal Pd.

Quanto al reddito di cittadinanza, le uniche evidenze sotto gli occhi di tutti, almeno di quelli che li vogliono tenere aperti, è l’enorme spreco di risorse erogate per ottenere risultati limitati, l’1,6% di riduzione dell’intensità della povertà secondo l’Istat. Ad affermare che il 35% dei beneficiari non avrebbe diritto di usufruire del Rdc e che il 40% dei veri poveri non ne beneficia o ne usufruisce in modo parziale lo confermano diverse fonti, ivi compresa la Caritas, che non crediamo possa essere annoverata tra le associazioni pregiudizialmente contrarie al provvedimento.

L’intervistato dovrebbe saperlo, dato che nella Regione Campania il numero dei percettori del Rdc risulta superiore del 20% rispetto al numero dei poveri stimato dall’Istat, e a quello di tutti i beneficiari residenti nelle Regioni del Nord Italia.

Salvo diversa spiegazione, queste politiche dovrebbero rientrare in quelle citate dall’intervistato alla voce “misure di sostegno e di integrazione del reddito universale”. Un’affermazione che presuppone che in Italia esista un reddito universale, che prescinda dal dover lavorare e contribuire alla formazione del reddito stesso, e al quale ancorare le politiche redistributive.

Tale era l’aspirazione originale, che per il momento ci è stata risparmiata, dei proponenti del reddito di cittadinanza. E che, a quanto pare, ci viene bellamente riproposta da quelli del Pd.

Lo spostamento dell’asse dal lavoro al reddito rappresenta a tutti gli effetti la novità sulla quale fondare le cosiddette politiche progressiste. Quella su cui fondare, per l’appunto, l’alleanza organica con il M5s.

Il fatto che l’Italia sia il paese con il più basso tasso di occupazione, dove il 43% dei contribuenti non versa un euro al fisco ma usufruisce a man bassa di prestazioni e di esenzioni che vengono negate ai contribuenti onesti, che in presenza di 4 milioni di persone in età di lavoro che ancora percepiscono sostegni al reddito le imprese che intendono assumere abbiano difficoltà a trovare manodopera per un terzo dei profili richiesti, non è nemmeno degno di menzione.

Avanti tutta verso un destino contrassegnato da un’economia ecosostenibile e inclusiva. Se a pagare il conto sono quelli che tirano la carretta, pazienza.

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