L’Osservatorio su Reddito e Pensione di cittadinanza dell’Inps ha pubblicato i dati aggiornati all’11 gennaio 2023 relativi ai nuclei percettori di Rdc al 2022, che si  riferiscono a 1.685.161 nuclei percettori di almeno una mensilità di Rdc/Pdc, con 3.662.803 persone coinvolte e un importo medio mensile erogato a livello nazionale di 551,11 euro. Tra gennaio e dicembre 2022 è stato revocato il beneficio a 72.690 nuclei e sono decaduti dal diritto 268.358 nuclei. A dicembre 2022 i nuclei beneficiari di Reddito di cittadinanza erano 1.527.904, mentre quelli che beneficiano della  Pensione di cittadinanza erano 157.257.



Negli ultimi giorni è suonato l’allarme: il Rdc e la Pdc stanno perdendo quota. Coloro che hanno fatto richiesta all’Inps per ottenere queste prestazioni nei primi due mesi del 2023 sono stati 90.887: un calo del 65,23% rispetto allo stesso periodo del 2022, quando i richiedenti erano stati 261.378. In particolare, a gennaio le richieste sono state 88.184 e a febbraio poco più di 2mila. L’Inps ricorda che il dato è provvisorio e non include domande in lavorazione o non completate. Il calo comunque è significativo e potrebbe essere legato alla stretta allo studio del Governo. Una slavina vera e propria.



A che cosa è dovuto questo crollo? Abbiamo ancora il ricordo dei tanti talk show i quali, a commento della Legge di bilancio che faceva la faccia feroce nei confronti di questa prestazione (politicamente divisiva), esibivano manifestazioni popolari di percettori disperati, mentre ampi settori delle forze di opposizione (che magari in altri momenti avevano criticato questa misura) accusavano il Governo di dichiarare guerra ai poveri. Poi le notizie sono come il pesce: dopo qualche tempo fanno cattivo odore e devono cedere il passo a nuovi casi in cui sia l’uomo a mordere il cane. Infine, ha cominciato a circolare la proposta della Mia e tutti hanno capito che il Rdc cambia nome, viene sottoposto a una cura dimagrante, ma prosegue cambiando la ditta (nel diritto commerciale rappresenta il nome dell’impresa).



Avevamo capito male. A sentir parlare di abolizione trascorsi alcuni mesi, ci chiedevamo come avrebbero potuto fare le strutture delle politiche attive a proporre, in questo arco di tempo, un’occasione di lavoro e a organizzare corsi di formazione di sei mesi con frequenza obbligatoria, pena la perdita del sussidio. In verità qualche cambiamento era annunciato. Si sarebbero invertite le finalità nel senso che il contrasto alla povertà avrà priorità rispetto all’inserimento nel mercato del lavoro. I beneficiari, al momento della presa in carico, sarebbero stati suddivisi, in base alle caratteristiche personali e familiari, in “non occupabili” e “occupabili”. Le famiglie senza persone occupabili dovrebbero percepire un bonus di importo più alto (probabilmente i 500 euro attuali) riscuoterlo più a lungo; mentre per le famiglie con persone occupabili dovrebbero avere al massimo 375 euro al mese erogabili per un anno contro i 18 mesi delle famiglie povere senza persone occupabili.

Verrebbe effettuata anche una stretta sul tetto Isee per avere diritto al sussidio che dovrebbe scendere a 7.200 euro dai 9.360 attuali. E quindi si ridurrebbe la platea degli aventi diritto. Si sta ancora discutendo sul contributo di 280 euro per l’affitto dell’abitazione, mentre per quanto riguarda l’offerta di lavoro (della durata minima di un mese) sarebbero previsti criteri di congruità legati soprattutto alla mobilità nel territorio.

Vi dovrebbe essere un maggior rigore anche nelle procedure di riconoscimento della prestazione (con verifiche preventive) e nei controlli. Questo maggior rigore potrebbe essere uno dei motivi del rallentamento delle erogazioni. Gli uffici dell’Inps, tuttavia, minimizzano l’effetto delle nuove procedure, sostenendo che ormai erano divenute una prassi corrente, una volta superata la prima fase dell’entrata in vigore del provvedimento quando il governo Conte 1 sollecitava a pagare senza fare troppe storie. Peraltro l’Inps nell’Osservatorio fa notare che nei numeri riguardanti le domande non sono incluse quella in lavorazione o non completate. Il che spiegherebbe anche il divario esistente tra le domande di gennaio e quelle di febbraio, essendo ovvio che quelle di febbraio (che più incidono nella diminuzione del bimestre rispetto al corrispondente del 2022) sono state prese in esame da poco, mentre quelle di gennaio sono in una fase più avanzata.

Vi è un distacco importante – come si è notato – tra i dati del 2022 e quelli del 2023. Infatti, secondo l’Osservatorio Rdc-Pdc dell’Inps, sono diminuite a febbraio le famiglie che percepiscono il Reddito o la pensione di cittadinanza: a febbraio sono stati 1.001.743 i nuclei familiari, per 2.135.395 persone coinvolte, che percepiscono un assegno medio di 575,31 euro. A gennaio il Rdc era stato erogato a 1,16 milioni di nuclei familiari per 2,47 milioni di persone coinvolte. Sono diminuiti soprattutto i nuclei composti da una sola persona, quelli per i quali il Governo sta studiando la stretta a meno che non siano di disabili o anziani, passati dai 537.238 di gennaio ai 460.775 di febbraio.

I due terzi delle famiglie con il Reddito o la pensione di cittadinanza risiedono nel Sud e nelle Isole (672.890 assegni su 1.001.743 totali erogati a febbraio). Secondo le tabelle nella sola Campania vengono erogati più sussidi che in tutto il Nord con 229.989 assegni contro i 186.694 del Nord. Nella sola provincia di Napoli vengono erogati oltre 146mila assegni sfiorando i sussidi ricevuti nel complesso dai residenti di Lombardia, Piemonte e Veneto. Le persone coinvolte nel complesso sono 332.832 al Nord, 264.527 al Centro e 1.538.036 al Sud. L’importo dell’assegno medio è più alto al Sud con 605,31 euro medi a fronte dei 500,29 al Nord, e dei 531,83 al Centro.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI