Gli emendamenti presentati dal Governo sulla Legge di bilancio 2023 contengono due importanti novità per la parte della riforma del Reddito di cittadinanza che tendono a radicalizzare la separazione degli interventi destinati ai beneficiari dei sussidi pubblici in età di lavoro e le persone a carico che non sono in grado di lavorare. Queste novità prevedono la riduzione temporale da 8 a 7 mesi del sostegno al reddito per le persone occupabili e l’obbligo da parte dei beneficiari di accettare tutte le offerte di lavoro possibili, anche quelle non ritenute congrue sulla base dei criteri contenuti nel decreto ministeriale n. 42 del 14 luglio 2018.
Questa seconda novità ha scatenato una serie di polemiche da parte dell’opposizione tese ad assimilare l’obbligo di accettare tutte le offerte di lavoro, con la perdita dei sussidi per l’interessato e per i familiari a carico in caso di rifiuto, a un’arma messa a disposizione dei datori di lavoro per ricattare queste persone sino a obbligarle ad accettare qualsiasi tipo di proposte di lavoro, comprese quelle prive di tutela legale e contrattuale.
Sono argomenti del tutto infondati dato che la tutela legale e l’applicazione dei contratti collettivi rimangono dei vincoli non aggirabili da parte dei datori di lavoro a prescindere dalla definizione dell’offerta congrua che è stata introdotta dal legislatore per la finalità di reinserire le persone che hanno perso il lavoro con modalità coerenti con il proprio profilo professionale e con un salario non penalizzante alle condizioni contrattuali precedenti o al sussidio al reddito percepito.
Nella fattispecie dei beneficiari del Rdc, l’impianto dell’offerta congrua contenuta nel Decreto ministeriale viene citato formalmente ma disatteso dalla normativa adottata. Tanto dall’essere completamente disapplicato in via di fatto anche sulla base dei riscontri dei monitoraggi delle politiche attive del lavoro dall’Anpal, che non dà conto delle offerte di lavoro proposte, accettate o rifiutate, e degli esiti degli incentivi erogati alle imprese per le assunzioni dei beneficiari del Rdc che risultano attivati per 147 occupati nel corso di tre anni di vigenza.
Cosa si intende per offerta congrua? Il D.M. richiamato, in attuazione del Decreto legislativo n. 150 del 2015 (riforma dei sostegni al reddito del Jobs Act) la definisce in relazione a tre criteri principali: la coerenza con le esperienze lavorative maturate; una distanza del posto di lavoro rispetto alla residenza entro i 50 km o gli 80 minuti utilizzando i mezzi pubblici; una proposta contrattuale di durata superiore ai tre mesi, con importi salariali coerenti con i contratti collettivi sottoscritti dalle rappresentanze sindacali maggiormente rappresentative e un orario di lavoro non inferiore all’80% rispetto a quello dell’ultimo contratto di lavoro.
Per i beneficiari dei sostegni al reddito l’importo del salario deve essere superiore di almeno il 20% rispetto alla indennità percepita nell’ultimo mese. Il rifiuto dell’offerta di lavoro, anche della prima, in assenza di gravi e comprovati motivi (malattia, infortuni, gravidanze, condizioni familiari, ecc.) comporta la perdita dei sussidi.
Queste disposizioni sono state del tutto ignorate nell’impianto originale delle politiche attive del Rdc su tre aspetti essenziali: la possibilità di rifiutare fino tre offerte di lavoro prima di essere sanzionati con la perdita del sussidio; l’esclusione dalle offerte congrue di tutte quelle inferiori all’importo annuale del Rdc; gli sgravi contributivi e gli incentivi per le assunzioni previsti esclusivamente per le tipologie di contratto a tempo indeterminato. L’importo salariale superiore al 20% del sostegno al reddito risulta del tutto inapplicabile nel caso del Rdc, dato che il sussidio si concretizza in un’integrazione variabile e personalizzata del reddito familiare. In buona sostanza, queste condizioni escludevano la stessa possibilità di proporre ai percettori del Rdc la gran parte delle nuove offerte di lavoro regolari che risultano attualmente attivate nel corso dell’anno (circa 5 milioni sul totale delle 11 milioni).
Queste disposizioni, del tutto inapplicabili per la platea delle persone in condizioni di disagio e bassa occupabilità, sono state utilizzate dai promotori del Rdc come pretesto per mettere in campo in fretta e furia il provvedimento con l’assunzione dei mitici Navigator che avevano il compito di trovare un lavoro a tempo indeterminato per circa 1 milione di persone. Esemplare lo slogan utilizzato dai promotori per lanciare il Rdc “la più importante politica attiva del lavoro promossa in Italia” con l’ausilio delle risorse della Pubblicità Progresso. Gli stessi che oggi si stracciano le vesti accusando il nuovo Governo di voler affamare le persone che non riusciranno a trovare un lavoro perché difficilmente occupabili.
Successivamente il Governo Draghi ha ridotto la possibilità di rifiutare le offerte congrue a una sola volta. Un segnale importante, ma che non incide sulla sostanza del problema. Come dimostrato dalle analisi sul campo, buona parte delle persone in età di lavoro che percepiscono il Rdc (meno di un terzo del totale) risulta distante dal mercato del lavoro ufficiale. Più concretamente sono circa 450 mila coloro che hanno sottoscritto il patto di servizio presso i Centri pubblici per l’impiego e 260 mila quelli attivati verso un percorso formativo e/o di inserimento lavorativo. Certamente molto di più quelli che spontaneamente, e razionalmente, arrotondano l’assegno pubblico con prestazioni occasionali sommerse.
Il principio di realtà impone l’adozione di politiche attive che si propongano principalmente di cogliere tutte le opportunità di lavoro regolare disponibili per ottenere l’obiettivo primario di reinserire nei circuiti lavorativi queste persone e la possibilità di integrare i sostegni al reddito con prestazioni lavorative concrete. Non solo per evitare gli abusi e per disincentivare i comportamenti passivi, ma anche per consolidare la crescita dell’autostima degli interessati e limitare i pregiudizi delle imprese nei loro confronti.
Le scelte di ridurre il beneficio temporale del Rdc e di consentire integrare il sussidio con prestazioni lavorative temporanee nella proposta della Legge di bilancio vanno in questa direzione e rappresentano una salutare scossa per contenere la deriva esclusivamente assistenzialista del Rdc.
Le novità presentano invece alcune criticità che dovranno essere rapidamente affrontate. Il superamento delle caratteristiche dell’offerta congrua del D.M. impone comunque la definizione di nuovi criteri per valutare la coerenza delle offerte con i profili delle persone. La possibilità di integrare i sussidi con le prestazioni temporanee non dovrebbe essere limitata ai lavori stagionali ma ampliata a tutte le prestazioni di durata inferiore ai tre mesi. Più in generale, l’attuazione concreta delle novità e la loro efficacia rispetto allo scopo di attivare le persone richiede una capacità di offerta di servizi di formazione e di orientamento che non risultano attualmente disponibili nei territori che registrano un’elevata incidenza di percettori dei Rdc.
Per molti aspetti i vincoli imposti ai percettori dei sussidi sono destinati anche a diventare degli obblighi per le amministrazioni e un modo per misurare i loro comportamenti.
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