Le recenti proposte provenienti da ciò che resta del vecchio universo di sinistra, composto dal nuovo Pd, dall’eterna mini-area mobile che si agita alla sua sinistra e da ciò che resta dell’universo 5 Stelle (che comunque costituisce ancora un ospite di riguardo) hanno sempre il fascino dell’intervento diretto e, proprio per questo, denso di una giustizia evidente.



Le recenti richieste che girano intorno alle tematiche del bonus e del reddito di cittadinanza presentano, anche queste, il vantaggio di essere immediate, di andare al soccorso di gente che non può più attendere un nuovo boom economico e che vive ad un passo dalla miseria e dalla disperazione.

Esiste certamente un mondo di persone che merita il reddito di cittadinanza così come meriterebbe, probabilmente, i bonus di qualsiasi tipo. Sono persone che spesso già lavorano, anche se poco o nulla, e che hanno il desiderio profondo di lavorare, ma hanno il torto di essersi professionalizzati su branche che sono state profondamente ridimensionate dalla crisi e si ritrovano a possedere competenze a volte pregevoli, ma non più utilizzabili. Altre sono invece rimaste imprigionate nelle maglie del lavoro nero: sono coloro che ricevono buste paga formali, dove dentro ci sono solamente i due terzi del compenso dichiarato e per un lavoro che, per di più, le imprigiona dalla mattina alla sera. Altre ancora hanno ricevuto una formazione non professionalizzante a dispetto delle apparenze con le quali è stata loro millantata e vagano da un posto all’altro con contratti costantemente provvisori, assieme all’amara scoperta di non avere che competenze irrilevanti.



Ma tutte queste persone sarebbero ancora più soddisfatte di un lavoro reale, con un contratto legale e con le protezioni previste dalla legge e magari anche con un servizio di assistenza/consulenza che le accompagni a definire un progetto personale più vasto, un percorso di professionalizzazione che consenta loro di avanzare e stare meglio entro due/tre anni. In questo secondo caso – e solo in questo – potremmo dire di appartenere ad una società della quale siamo fieri.

Elargire bonus e redditi di cittadinanza in quanto non si è capaci di offrire un lavoro reale, se da un lato dà la soddisfazione di elargire sostegni immediati, dall’altro, nell’assenza di qualsiasi controllo e in presenza di un apparato burocratico assolutamente inadeguato, spalanca le porte di un nuovo stagno sociale in cui, accanto a coloro che vorrebbero uscirne, vegeterà una platea di quanti, essendo convinti che sia oramai impossibile raggiungere qualsiasi posizione per loro soddisfacente, sommano al reddito di cittadinanza ed ai benefici di qualsiasi tipo spezzoni di lavoro al nero, diventando complici di un padrone che non li dichiara: un universo illegale, tanto più appetibile quanto più sussidiato da uno Stato che fornisce il minimo vitale.



Per questa strada, nel giro di pochissimi mesi, avremmo una nuova categoria di falsi invalidi, costituita dai “falsi inoccupati”. Questo mondo prolifererebbe come le ninfee dello stagno di Luca Ricolfi ponendo le premesse per un’Italia, se possibile, ancora più invivibile di quella attuale. Accanto a quanti avrebbero realmente bisogno di un percorso di reinserimento sul lavoro e magari di un mercato che li accoglie, come previsto nell’attuale piano appena varato dal governo Draghi, esisterebbero coloro che preferiscono restare nell’ombra, se non altro perché quello stesso universo aleatorio millanterà guadagni futuri, prometterà di “cogliere l’occasione”. Un’occasione tanto più potenzialmente percorribile quanto più avranno le mani libere da un impegno quotidiano che ogni lavoro regolare richiederebbe.

Non è una riforma, ma l’ennesima trappola per un’intera generazione, dove le ottime volontà individuali che pure vi sono vengono gettate nel mucchio degli assistiti, con tutte le economie al nero e i rapporti illegali che vi si ricollegano. Anziché espandere una società solare, si alimenta una società che vive nell’ombra delle economie para-legali, alle quali bonus e redditi di cittadinanza forniscono quel “minimo sindacale” per continuare a prosperare nell’ombra, per di più inquinando il mercato legale delle piccole aziende regolari.

Sono le “buone intenzioni” a lastricare la via dell’inferno, anche quando vengono pensate da persone in assoluta buona fede.

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