In questi giorni è ripreso il dibattito sulla riforma fiscale e, pur se non strettamente collegata, desta sorpresa la riproposizione del redditometro quale strumento di accertamento sintetico dei redditi dei cittadini riscritto qualche anno fa dal Governo giallo-verde con il Decreto dignità. L’obiettivo del redditometro è quello di sempre: misurare la capacità di spesa delle famiglie in relazione ai redditi dichiarati. Anche la domanda rimane sempre la stessa, ovvero quale sia la valenza della ricostruzione induttiva del reddito complessivo derivato dalla capacità di spesa dei contribuenti.
Le Finanze hanno avviato la macchina e la stessa sarà operativa, come prevede il Decreto dignità, per gli accertamenti dal periodo d’imposta 2016 e farà scattare i controlli in presenza di uno scostamento superiore del 20% tra redditi dichiarati e quelli ricostruiti. Nelle intenzioni delle Finanze lo strumento intende valorizzare le potenzialità finora inespresse dell’anagrafe dei conti correnti per individuare i redditi non dichiarati mentre per misurare i consumi si utilizzeranno i dati disponibili presso l’Anagrafe tributaria oltre alle analisi sui consumi standard misurati dall’Istat (la cosiddetta “soglia di povertà assoluta”). L’applicazione concreta dello strumento nei confronti del cittadino avverrà a seguito del confronto con gli uffici del fisco allorquando dovrà essere spiegato cosa giustifica la presunta maggiore capacità contributiva individuata a tavolino.
Non si può non notare la coincidenza della riproposizione del redditometro con l’attivismo di Biden che ha rivendicato e sdoganato la riforma della tassazione globale, sposata dal G7 e fondata su una minimum tax di almeno il 15% da far pagare alle multinazionali oltre a un’imposizione da applicarsi ai profitti maturati nei singoli Paesi. Dopo l’annuncio iniziale è apparso chiaro a tutti che l’applicazione concreta della minimum tax sarà possibile, se tutto va bene, tra anni. La sua applicazione, infatti, potrà esserci solo quando sarà maturato un consenso internazionale sulla formazione del quale vi è più di qualche dubbio se si considera che anche negli Usa la svolta non è data per acquisita visto il forte dissenso dei Repubblicani. È certo, comunque, che la riforma della tassazione globale sulle imprese è considerata dall’Amministrazione statunitense indispensabile per poter arrestare il trasferimento delle aziende americane verso Stati con regimi fiscali più vantaggiosi.
A questo punto dell’analisi viene il dubbio che il ripescaggio del redditometro sia fondato sull’equazione rivolta ai cittadini: abbiamo affrontato il tema dei giganti del web per cui la nostra attenzione verso di voi non è accanimento. In questo contesto si inserisce l’intervento dell’Agenzia delle Entrate che ha ribadito che la riforma della riscossione è una priorità non più differibile proprio nell’ottica di dare maggiore credibilità all’accertamento. Senza l’incasso delle somme contestate ogni azione di contrasto all’evasione è inefficace. È stata ancora una volta sottolineata la necessità di affrontare la questione del monte crediti non riscossi dall’erario, gran parte dei quali non hanno alcuna possibilità di essere incassati e per i quali andranno sostenute spese e impegno lavorativo per evitare contestazioni di danno erariale.
Sul punto un primo passo è stato segnato con il Decreto sostegni che ha messo sotto osservazione l’inesigibilità dei ruoli. In attesa di maggiori informazioni sulla riforma fiscale è stata ripresa l’Iri, Imposta sul reddito dell’imprenditore, che nasce con la manovra per il 2017 mai applicata e successivamente abolita nel 2019. Chi ripropone questo meccanismo lo fa perché lo ritiene utile a ristabilire l’equità del sistema fiscale rendendo neutrale il prelievo fiscale qualunque sia la forma giuridica dell’impresa. Sulle modalità attuative di questo meccanismo non vi è intesa tra i partiti. Questo strumento contribuirebbe a introdurre un primo tassello di equità nel nostro sistema che penalizza fortemente la forma individuale di fare impresa o lavoro autonomo. È ormai evidente dopo poco più di un anno di pandemia che la ripresa economica passa per l’attuazione della riforma fiscale che dovrà dare energia al ceto medio impoverito dalla lunga stagnazione italiana che era già presente prima di essere colpito dalla crisi economica innescata dal Covid. La sorte fiscale di molte aziende è legata dunque alla riforma fiscale e alla riduzione del peso della burocrazia, anche di quella fiscale. Anche il rientro nei confini nazionali di alcune produzioni delocalizzate all’estero dipende dalle riforme da attuarsi.
Se la strada è la minumim tax globale potrebbe apparire illogico affrontare il futuro attraverso il redditometro che guarda al passato con gli occhi di oggi solo per ragioni di cassa.
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