Su proposta del viceministro all’Economia e alla finanza Maurizio Leo presto tornerà il criticato e contestato strumento del redditometro, ipotizzato con un decreto mai diventato attuativo del 1992 e poi rispolverato (ma nuovamente senza alcun reale seguito giuridico) dal governo di Matteo Renzi nel 2015. Attualmente lo strumento è stato già pubblicato nella Gazzetta ufficiale – esattamente il 7 maggio scorso -, ma è probabile che si provvederà ad un riesame della proposta dato che al solo sentir parlare del redditometro nella maggioranza di governo si è creata una mini spaccatura, con la maggior parte dei partiti che criticano la mossa di Leo che sarebbe contraria quel ‘fisco amico‘ più volte citato dallo stesso ministro e dalla compagine di governo.



Prima di arrivare alle critiche, però, è necessaria una piccola digressione per spiegare in cosa consiste lo strumento e – soprattutto – quali modifiche apporterebbe al sistema fiscale. Lo scopo generale è quello di dedurre la capacità di acquisto degli italiani sondando le spese sostenute nel corso degli anni (a partire dal 2018 con riferimento al 2016) per individuare eventuali discrepanze rispetto al reddito dichiarato. Lunghissimo l’elenco delle spese considerate dal redditometro – reale oggetto della proposta del ministro Leo – che vanno dai mutui in sospeso, fino agli affitti, passando anche per gli investimenti (intesi come azioni, ma anche francobolli), l’acquisto di mobili, elettrodomestici e oggetti tecnologici di consumo, tra cui pc, cellulari e televisori.



Similmente, nel redditometro confluiranno anche le varie spese sostenute per il tempo libero – tra libri, spettacoli, concerti, abbonamenti alla pay-tv, ma anche cancelleria, giornali e riviste – e per l’istruzione, senza dimenticare i trasporti (inclusivi di abbonamenti, assicurazioni e nuovi veicoli), le bollette ed addirittura le spese sanitarie.

Lo scontro in maggioranza per il redditometro: “L’inquisizione è passata”

Insomma, con un piccolo esercizio di stile potremmo dire che confluiranno nel redditometro l’interezza delle spese sostenute da un singolo contribuente o da una famiglia, con attenzione anche a quelle che riguardano i propri figli: come se non bastasse, in caso di assenza di dati certi si procederà ad una stima ‘d’ufficio’ che non è chiaro quali parametri terrà in considerazione. Come vi anticipavamo, la reazione di tutti i partiti di maggioranza – ad eccezione ovviamente di Fratelli d’Italia, di cui fa parte il ministro Leo – al redditometro è stata aspra ed estremamente critica.



Fonti di Forza Italia citate da diversi media nazionali, per esempio, ricordano la sempre ferma contrarietà del partito orfano di Silvio Berlusconi, oltre all’evidente intralcio al già approvato “provvedimento del concordato preventivo“. Sulla stessa lunghezza d’onda anche la Lega, con il capogruppo al Senato Massimiliano Romeo che ad Ansa sottolinea che “noi del centrodestra siamo stati sempre stati critici su strumenti” come il redditometro; mentre una fonte anonima ricorda che “l’inquisizione è passata da tempo e non tornerà di certo con la Lega al governo. Controllare la spesa degli italiani, in modalità Grande fratello, non è sicuramente il metodo migliore per combattere l’evasione”.

Silenzio stampa da Fratelli d’Italia, con il solo Maurizio Leo che rispondendo agli attacchi degli alleati precisa che il redditometro fu “introdotto nel 2015 dal governo Renzi” spiegando poi che “il decreto pubblicato in questi giorni non introduce nulla di nuovo ma “mette finalmente dei limiti al potere discrezionale dell’amministrazione finanziaria di attuare l’accertamento”; con l’eco flebile di Marco Osnato (presidente della Commissione Finanze alla Camera) che ricorda come il redditometro “non annacqua né intacca la riforma fiscale né l’atteggiamento del governo Meloni (..) ed è anche una risposta a chi dice che non ci occupiamo di evasione fiscale“.