Il popolo italiano si è espresso, tutti ne prendano atto. Chi ha voluto far conoscere la propria opinione sul nucleare, così come sugli altri temi, si è recato alle urne. Anche chi non vi è andato si è espresso. E probabilmente non solo sul nucleare.
Passato il breve periodo di ultraesposizione mediatico-politica dell’argomento, rimangono sul tavolo insolute le questioni che il referendum ha ulteriormente evidenziato, ma non ha ovviamente risolto, non essendo quello un compito suo. Ora quest’onere passa alla politica.
Quale strategia energetica per il Paese? Ci sarà una strategia? Le soluzioni ora invocate a gran voce, saranno sostenibili (tecnicamente ed economicamente)? A quali condizioni e a quali costi? E sul nucleare: ci sarà spazio per cercare ed ottenere informazioni sulla sicurezza delle centrali europee presenti e future, o sarà vietato perché è stato abrogato il comma 1 dell’art. 5? Si risolveranno i problemi ancora vivi dello smantellamento delle vecchie centrali nucleari? Si troverà qualche comunità locale disponibile ad accogliere i rifiuti nucleari vecchi (le ex-centrali) e nuovi (quelli di ospedali e industrie che quotidianamente producono rifiuti radioattivi)? Sarà richiesta coerenza e dovremo quindi interrompere l’import di energia elettrica dalla Francia, così come dichiarato dalla commissione etica tedesca? Si chiederà alle industrie ancora impegnate in questo settore di rinunciare a questo business?
E ancora: poiché una parte non piccola degli altri Paesi continuerà verosimilmente a sfruttare e a migliorare questa tecnologia, sarà possibile continuare a sviluppare competenze nucleari, in modo che in Italia rimanga in futuro qualcuno che ci capisce (realmente) qualcosa? Sarà possibile fare ricerca sul nucleare? Chi nei giorni scorsi si è affrettato a dichiarare “ma la ricerca sul nucleare deve continuare”, lo ha fatto principalmente per acquietare la propria coscienza, nel migliore dei casi. Chi lavora nel settore sa bene, infatti, cosa è capitato nel dopo-Chernobyl, e cosa capiterà dopo questo secondo referendum: ostracismo, drastica riduzione dei fondi, difficoltà a partecipare a programmi internazionali, gli unici possibili.
Ma soprattutto: si sarà in grado di affrontare questo tema in futuro, magari lontani dalle tossine referendarie, in modo serio e bipartisan?
Rimane un’ultima domanda: in quali condizioni abbiamo espresso la nostra opinione? È stata una decisione opportunamente informata, dal punto di vista tecnico-scientifico? Sono state offerte dai media informazioni e dati scientificamente e tecnicamente corretti e soprattutto completi? Questa è l’unica domanda alla quale esiste una risposta certa. No. L’enfasi per l’estremismo e lo scandalo hanno creato il sottofondo. Pezzi della realtà sono stati completamente offuscati.
E la patente di “esperto”, da interrogare su un tema così ostico, è stata assegnata a varie personalità: a un medico (badando bene a non prendere un esperto di radiazioni, però), due ambientalisti (un filosofo e un fisico), un prof. di chimica. Ma soprattutto a un cantante. Non dimenticando gli attori.
Gli esperti, come abbiamo potuto constatare, non sono certo quelle persone (poche) che studiano e lavorano nel nucleare da decenni. Sono di parte. E infatti, qualcuno li ha interpellati?
E poi. I nostri media, così come la nostra politica, sono interessati alle opinioni o ai giudizi dei cittadini italiani? Per farsi delle opinioni, non occorre far fatica. Basta ascoltare ciò che i media ci propongono e scegliere. L’argomento o il personaggio più convincente, più simpatico, più credibile. Farsi un giudizio, invece, costa un po’ di lavoro: di informazione, approfondimento, critica, valutazione, confronto.
La speranza è che nei prossimi anni, su questo tema come sull’argomento energia, cresca l’interesse a vagliare seriamente. E ci sia qualcuno disposto a darci una mano, in un lavoro che non ammette sostituti.