Thomas Seltmann è portavoce di Energy Watch Group, un’associazione di ricercatori indipendenti e di economisti impegnati nel campo dello sviluppo dell’energia sostenibile. L’associazione è stata fondata da Hans-Josef Fell, parlamentare federale tedesco dei Verdi e autore delle leggi vigenti in Germania sulle energie rinnovabili. Per Seltmann la produzione mondiale di energia nucleare è in declino e lo sarà anche in futuro. La prima ragione sta nella scarsità dell’uranio a livello mondiale, e negli alti costi della sua estrazione e lavorazione. Una prospettiva che condanna l’atomo sul lungo periodo. Con ilsussidiario.net Seltmann è categorico: «Il nucleare non ha mai giocato un ruolo decisivo rispetto alle altre fonti di energia a livello globale e sicuramente può abbandonare qualsiasi speranza di conquistare un simile ruolo in futuro».
Seltmann, il 12 e 13 giugno in Italia si vota il referendum sul nucleare. L’opinione pubblica è divisa tra «nuclearisti» convinti, e contrari ad ogni costo. Ma qual è lo stato dell’arte dell’energia nucleare a livello mondiale?
Negli ultimi 20 anni il numero totale di impianti in attività non è di fatto aumentato, poiché le nuove costruzioni si sono accompagnate alla disattivazione di impianti più vecchi. Il fatto è che la rilevanza globale dell’energia nucleare è ancora oggi ampiamente sopravvalutata.
Come si spiega?
In primo luogo perché si tratta di un «falso gigante», che ammonta ad appena il 2 per cento del consumo mondiale di energia. E più da vicino si osservano i fatti, tanto minore sembra essere il potenziale futuro di questa fonte controversa. Non parlo qui della sicurezza degli impianti, ma dell’uranio e dei suoi costi insostenibili.
Il nucleare un «falso gigante», dice?
Sì: il periodo di espansione del settore dell’energia nucleare è avvenuto più di tre decenni fa. La capacità annua dei nuovi impianti allacciati alle reti nazionali ha superato il suo apice a metà degli anni 70 e da allora è calata in modo costante, fino a raggiungere una media di un decimo dei valori registrati in quel periodo.
A che cosa sarebbe dovuto soprattutto questo calo?
Il declino mondiale nella produzione dell’energia nucleare è associato a un fatto che una larga fetta dell’opinione pubblica ignora: l’uranio, combustibile nucleare per le centrali, scarseggia già da tempo e gli impianti nucleari ne hanno consumato una quantità maggiore di quella estratta in tutto il mondo dal 1991 in poi. La differenza (al momento circa il 40% della domanda) proviene da riserve che risalgono a periodi antecedenti il 1990. Il periodo d’oro dell’estrazione dell’uranio risale ai primi anni 80, quando grandi quantità di uranio erano richieste per la produzione di armi nucleari. Statisticamente, ogni decimo di kWh di energia nucleare è generato utilizzando l’uranio delle vecchie testate nucleari sovietiche. Dopo tutto, la stessa Russia è a corto di uranio e attualmente sta negoziando per procurarsi scorte supplementari dall’Australia. Anche nel più grande paese del mondo non ci sono sufficienti risorse per soddisfare la domanda interna.
A questo si aggiunge il problema dei prezzi…
Esatto. L’imminente scarsità di uranio ha già portato ad uno sviluppo dei prezzi come quello che abbiamo già osservato per il petrolio e il carbone. Il prezzo corrente dell’ossido di uranio è lievitato dai 7 dollari americani per libbra nel 2000 agli oltre 130 dollari per libbra nella metà del 2007. Nelle conferenze sull’uranio tenutesi a New York e Toronto nel febbraio 2007, James C. Cornell e Jeffrey R. Faul, i top manager di Nukem Inc., secondo maggior fornitore di barre di combustibile nucleare, commentarono la situazione con queste parole: «Scordatevi una rinascita del nucleare: i prezzi dell’uranio continueranno a salire nel prossimo futuro».
Non esiste la possibilità che l’uranio torni ad essere conveniente?
Gli analisti concordano sul fatto che la recente diminuzione del prezzo corrente è solo un calo temporaneo nel quadro di un trend di lungo termine completamente diverso. Un prezzo dell’uranio di 700 dollari per libbra, ad esempio, provocherebbe un raddoppio dei costi di produzione dell’energia da parte di un reattore nucleare. E questo non è nemmeno lo scenario peggiore. Se l’industria non sarà in grado di incrementare in maniera significativa la produzione di uranio nei prossimi anni, le restanti riserve saranno esaurite nel giro di circa 10 anni.
Ci sono paesi la cui politica energetica può attestare questa fase di stallo, per non dire di crisi del settore?
Prendiamo l’India. Qui la mancanza di uranio costringe spesso a spegnere i reattori o a farli operare a regime ridotto. La produzione domestica dell’uranio in India è insufficiente, e le forniture dall’estero sono ostacolate da problemi politici, perché l’India non ha firmato il Trattato di non proliferazione nucleare.
E la situazione dei giacimenti?
Una delle ragioni principali utilizzate per spiegare l’aumento dei prezzi dell’uranio è proprio l’esaurimento di giacimenti una volta molto prolifici. Solo il Canada possiede ancora giacimenti con concentrazioni del metallo pari all’1%. Le difficoltà da superare per sfruttare anche gli ultimi ricchi depositi sono ben illustrati nel progetto canadese che riguarda Cigar Lake, una delle più grandi miniere al mondo e l’unica con una così alta concentrazione di metallo. La produzione era stata programmata per cominciare nel 2007, cioè 26 anni dopo la sua scoperta e al termine di un processo di valutazione e approvazione su basi «ecologiche» del tempo di consumo. I dati dicono che i giacimenti negli altri paesi offrono concentrazioni di metallo di appena lo 0,1%, e più di due terzi di tutti giacimenti stanno sotto lo 0,06%.
Questo cosa comporta?
Con concentrazioni così minimali, estrarre l’uranio è economico solo se esso può essere sfruttato come derivato dell’estrazione principale del rame o dell’oro. Ma solo il 10% circa dell’uranio è reperibile in questa redditizia combinazione. Man mano che i giacimenti migliori si esauriscono, la proporzione di miniere con bassa concentrazione di metallo aumenta. Il loro sfruttamento diventa però sempre più complesso e costoso. Inoltre, c’è un altro aspetto molto importante, che riguarda il consumo di energia per estrarre l’uranio. Tale consumo fa pendere la bilancia dalla parte del carbone e questo, come è noto, è uno degli argomenti favoriti dei suoi sostenitori. Infatti se il grado di concentrazione scende allo 0,02%, la bilancia diventa negativa ed estrarre l’uranio diventa inutile.