Il quesito sull’aborto sottoposto al referendum a San Marino chiedeva ai cittadini tre cose: se fossero d’accordo sul fatto che la donna potesse interrompere volontariamente la gravidanza entro la 12esima settimana di gestazione, e anche successivamente nel caso di pericolo per la propria vita o nel caso vi fossero anomalie e malformazioni del feto che comportavano grave rischio per la propria salute fisica o psicologica. Il 77,28% dei votanti ha detto di Sì; il 22,72% di No. Ora tocca al Parlamento scrivere una legge, che, considerata la maggioranza dei Sì, tenga conto delle richieste dei cittadini. Ciò nonostante, il passaggio dal quesito referendario alla legge non sarà affatto facile per una serie di zone d’ombra che lo stesso quesito pone all’attenzione del legislatore.
Referendum aborto San Marino, ecco i punti critici
Le prime perplessità nascono dall’indeterminatezza del limite massimo di tempo entro il quale si potrà abortire. A titolo di esempio può essere utile a capire i termini del problema ricordare che per la legge italiana tale limite massimo è stato posto tra le 21 e le 22 settimane di gravidanza, perché oltre questo termine il feto può vivere autonomamente. La legge italiana in altri termini ha stabilito uno spartiacque tra la condizione del feto incapace di sopravvivere fuori dall’utero materno e il bambino che potrebbe nascere e, opportunamente aiutato dalla Terapia intensiva neonatale (TIN), potrebbe sopravvivere serenamente. Oggi, vale la pena di ricordare che sopravvivono bambini che alla nascita pesano anche meno di 5 etti! I progressi della scienza e della tecnica in questo campo sono stati fortemente sollecitati proprio da quei genitori che desiderano un figlio a ogni costo e non di rado bambini concepiti con la procreazione medicalmente assistita (PMA) nascono prematuri e sottopeso. Ma sono proprio i genitori che in stretta collaborazione con i neonatologi delle TIN chiedono di assistere questi bambini nelle incubatrici specializzate, fino a poterli portare a casa.
Ora, se non si vuole accettare il principio che ogni bambino ha diritto a vivere fin dal momento del concepimento, è abbastanza evidente la differenza che c’è tra un feto, ancora incapace di vita autonoma e un bambino che invece può già vivere autonomamente. Non aver posto nessun limite al tempo dell’aborto potrebbe cambiare di molto la prospettiva e la responsabilità di chi interviene nell’aborto. Se la futura legge di San Marino lasciasse del tutto indeterminato questo termine, si potrebbe anche creare la triste eventualità che andassero ad abortire a San Marino tutte le donne, italiane in maggioranza, che arrivano a prendere questa decisione fuori tempo massimo.
La seconda perplessità riguarda il riferimento alle anomalie e malformazioni del feto, per cui diventa evidente che ci troviamo davanti a un aborto selettivo dalle indubbie radici eugenetiche, con tutto ciò che questo termine evoca. Sappiamo bene come in molti Paesi non nascono più ragazzi Down perché vengono abortiti prima. La loro disgrazia è che fare diagnosi di Trisomia 21 è molto facile, fin troppo facile; ma così facendo si ignora quanto questi ragazzi possono avere una vita serena; possono raggiungere obiettivi personali importanti e soprattutto sono capaci di relazioni affettive profonde e durature. Ma ciò che non si può dimenticare è che la scienza ha fatto progressi importanti in tanti ambiti; ha reso possibile non solo una diagnosi precoce, ma anche una terapia altrettanto precoce, capace di cambiare radicalmente la storia naturale della malattia e rendere la vita delle persone di gran lunga migliore. Penso ad esempio alla Sma, che grazie alla ricerca sostenuta in modo incessante da genitori che avevano figli in queste condizioni, in pochi mesi ha trovato sia un test genetico che ne consente la diagnosi ancor prima della nascita e soprattutto una terapia che normalizza in modo pressoché totale la loro vita. Senza l’amore dei loro genitori, senza la loro resilienza, e senza i progressi della scienza tutto ciò non sarebbe accaduto. Forse sarebbero stati abortiti, senza nessun’altra prospettiva per sé e per gli altri.
La terza perplessità riguarda il grave rischio per la salute fisica o psicologica della donna. Tutti sappiamo fino a che punto la salute psichica della donna è condizionata dalle oggettive difficoltà che la circondano: dalla povertà, anche se non estrema, dalla complicata situazione lavorativa, con il rischio di perdere il posto di lavoro o di dover rinunciare a tutti i sacrifici fatti per raggiungere una determinata posizione, alla competitività, spesso ai limiti con la conflittualità. Tutte condizioni di stress che in alcuni momenti rendono impossibile pensare di poter fare spazio anche a un figlio che magari arriva all’improvviso, non previsto, e forse non desiderato in quel momento. Il tutto in un tempo di precarietà delle relazioni affettive, che vedono spesso delle unioni molto fragili e con scarse garanzie di continuità. Non c’è dubbio che in questi momenti il supporto alla maternità si misura anche in termini di aiuti economici significativi; di garanzie professionali; di servizi accessibili e possibilmente gratuiti. La salute delle donne è un indicatore sociale estremamente sensibile alla qualità del welfare che esiste in ogni Paese. L’aborto non risolve il problema, si limita ad accantonarlo, per di più lasciando nel cuore delle donne un vulnus non facile da dimenticare, com’è ampiamente dimostrato da tantissime testimonianze.
Referendum-mania, scacco matto ai valori non negoziabili
Colpisce come in questo periodo di Referendum-mania siano sotto scacco soprattutto i famosi Valori non negoziabili; si è arrivati al punto di sacrificarli tutti, nessuno escluso, sull’altare del principio di autodeterminazione. In una manciata di settimane tutti i grandi temi etici sono stati stravolti. Ha vinto, sul piano dei negoziati, la logica del fai-da-te. Nessuno può imporre a nessuno cosa fare o non fare, perché non esiste nessun altro criterio di scelta se non il proprio giudizio, del tutto autoreferenziale. Solo io posso stabilire cos’è giusto e cosa non lo è; lo faccio a partire esclusivamente dalla mia convenienza personale. Tutto comincia e finisce con me. Questa in definitiva è la conclusione a cui sembra sia giunta una gran parte dell’opinione pubblica a San Marino. Una strada solo apparentemente più facile da percorrere, ma che alla lunga si rivelerà irta di ostacoli e di conseguenze tutt’altro che facili da accettare, se si ha come orizzonte quello della coesione sociale, della solidarietà e della presa in carico della fragilità.
La legalizzazione dell’aborto ribadita, e in un certo senso ampliata, con il Referendum di San Marino contribuisce a mettere in pole position la difficoltà di essere madre e avere una vita indipendente. La maternità si impone all’attenzione di tutti come un vincolo che in certi momenti è giusto recidere per salvaguardare la libertà femminile e il suo diritto all’autodeterminazione. Si lascia che lo stesso desiderio di maternità si sposti sempre più indietro nella scala dei desideri e delle aspirazioni femminili. E il crollo demografico che da anni assedia il nostro Paese ne è una conferma. C’è un dato che spicca su tutti: i nati in Italia nel 2021 per la prima volta scenderanno sotto la soglia dei 400mila. Un tassello ulteriore nel trend di declino demografico del nostro Paese, un fenomeno ben noto ma non per questo meno grave e urgente.
Se davanti al principio di autodeterminazione, in questo caso applicato all’aborto, non possiamo fare nulla, possiamo però intervenire sul sistema politico e su quello economico, per evitare in Italia non solo l’invecchiamento generale della popolazione, di cui si parla tantissimo, ma anche un serio rischio per la nostra economia. Lo ha più volte ribadito Blangiardo, che dal 2019 guida l’Istituto Nazionale di Statistica. Sa bene che la crisi demografica non può essere certo risolta con un decreto-legge, servono investimenti seri a favore della maternità; bisogna ricreare un clima positivo di accoglienza della maternità: una vera e propria tutela sociale della maternità.
Non so quale legge sull’aborto nei prossimi mesi il Parlamento di San Marino formulerà; so però che la nostra risposta all’aborto va data intervenendo su tutte le misure sociali ed economiche che si possono mettere a servizio della maternità, considerandola un bene straordinario per tutta la società. La risposta all’aborto va data anche riscoprendo la maternità come valore, tornando a desiderarla, senza porla in antitesi con la libertà.
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