Le parole sono importanti. A Phoenix, Arizona, padre Andres Arango ha battezzato per 26 anni con una formula sbagliata. Invece della corretta espressione “io ti battezzo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” con l’intento di sottolineare la dimensione comunitaria della liturgia, diceva “noi ti battezziamo”. Il vescovo, resosi conto del problema, ha interpellato la Santa Sede che ha confermato l’invalidità della formula usata. Nella risposta della Congregazione per la dottrina della fede si allude addirittura ad enunciati più ampi quali: “a nome del papà e della mamma, del padrino e della madrina, dei nonni, dei familiari, degli amici, a nome della comunità noi ti battezziamo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”.
La vicenda sta facendo parlare di sé perché, essendo invalido il sacramento dell’iniziazione cristiana, sono da rifare anche gli altri eventuali sacramenti ricevuti quali per esempio il matrimonio e l’ordine sacro, con gli ovvi enormi problemi. La diocesi in tutte le sue componenti, compreso don Arango – che oltre a chiedere perdono si è dimesso da parroco e sta facendo di tutto per riparare al danno fatto –, sta cercando di entrare in contatto con tutte le persone danneggiate da tale comportamento, sia pubblicando sul sito quanto avvenuto, sia scrivendo personalmente alle persone coinvolte.
Non è la prima volta che avvengono errori del genere. In passato era accaduto che si dicesse “nel nome del Creatore e del Redentore e del Santificatore” oppure “nel nome del Padre, nel nome del Figlio e nel nome dello Spirito Santo”. Paiono sottigliezze da maniaci che cercano il pelo nell’uovo invece, a conferma che per noi uomini le parole sono importanti, nel medesimo giorno arriva la sentenza della Corte costituzionale che rigetta i referendum su eutanasia e cannabis perché “mal formulati”.
Anche in questo caso un problema di parole che però sono vita e sostanza. Eutanasia e omicidio del consenziente sono espressioni molto diverse. Come ha spiegato il presidente della Corte costituzionale Giuliano Amato in conferenza stampa, qualora al referendum così come disegnato dai promotori avessero prevalso i “sì” sarebbe stato possibile uccidere un ragazzo maggiorenne depresso “magari un po’ ubriaco” che chiedesse di essere eliminato. “Tutto questo – ha detto il presidente della Consulta – non ha nulla a che fare con i casi in cui ci si aspetta la non punibilità dell’eutanasia, né con le sofferenze dei malati che aspettavano una decisione diversa”.
Allo stesso modo, se si vogliono utilizzare bene le parole, il referendum sulla legalizzazione della cannabis avrebbe dovuto chiamarsi “legalizzazione della coltivazione delle sostanze stupefacenti” perché così come era scritta, l’eventuale vittoria dei “sì” avrebbe esteso la legalizzazione anche a eroina e cocaina andando chiaramente oltre l’obiettivo del referendum.
Per una coincidenza, l’istituzione ecclesiastica e l’istituzione civile hanno lo stesso giorno, nel loro più alto grado, confermato ciò che insegna la Bibbia, ovvero che la tutta la realtà nasce e si regge sulle parole. Su quelle di Dio che creano, su quelle del Verbo incarnato che redimono e su quelle degli uomini che cercano di rendere vivibile il mondo del quotidiano. Rimane da notare che mentre la Chiesa, nella persona del vescovo, della diocesi e del parroco, ha chiesto perdono per i propri errori e sta cercando di riparare, chi ha promosso i referendum pare essere molto lontano dal voler fare lo stesso rispetto a tutti i firmatari che sono stati oggettivamente ingannati, visto che quanto hanno chiesto non corrispondeva a quanto i promotori avevano promesso.
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