“Propongo al gruppo dirigente di assumere questa indicazione per il Sì integrando nella nostra battaglia tante argomentazioni che sono emerse”. “Un Sì per ripartire”, dunque, avviando “una stagione di riforme sempre bloccate nella storia d’Italia. Questo primo atto di riforme si può collegare con un percorso”. Così Nicola Zingaretti ha avanzato la sua proposta alla direzione del Pd per il Sì al referendum confermativo sul taglio dei parlamentari, proposta approvata con 188 favorevoli e 18 contrari. Il segretario dei Democratici ha anche chiesto di presentare la proposta di iniziativa popolare per cancellare il bicameralismo paritario. “È importante che il Pd prenda una posizione chiara su questo tema – commenta Luciano Violante, ex magistrato, giurista, uomo delle istituzioni e fautore della proposta suggerita al Pd in un articolo pubblicato ieri su Repubblica –: superare il bicameralismo paritario, che è una delle palle al piede del nostro sistema, dà un significato costruttivo, non distruttivo, al Sì”. Ma questo non potrebbe creare frizioni pesanti con i Cinquestelle? “Il Pd, per garantire il patto di governo e scongiurare quello che si prospettava dopo la crisi dell’agosto 2019, a un certo punto ha fatto bene a cambiare voto sul taglio dei parlamentari. Ma adesso potrebbe chiedere ai Cinquestelle di sostenere queste correzioni necessarie”, anche se molto dipenderà “dall’esito delle elezioni regionali e dalla situazione politica generale dopo il 21 settembre”.



Zingaretti ha proposto al Pd di votare Sì al referendum sul taglio dei parlamentari. Scelta convinta o scelta obbligata?

Zingaretti ha anche invitato a presentare la proposta di iniziativa popolare di cui ho parlato in un mio articolo ieri su Repubblica. Se quella proposta sarà davvero presentata e avrà un carattere impegnativo, credo che sarà una cosa buona. Sarebbe più facile votare Sì. È decisivo cancellare il bicameralismo paritario, che è una delle palle al piede del nostro sistema.



Già un anno fa lei propose una correzione del sistema bicamerale. Perché il Pd non accettò allora, inserendo questa “clausola” nel patto di governo con i Cinquestelle?

Perché il Pd non l’abbia fatto prima va chiesto al Pd.

Oggi Zingaretti la rilancia, ma non arriva troppo in ritardo? Il segretario del Pd ha detto di non temere “un vento populista inarrestabile, un pericolo per la democrazia”. Ma non le pare che l’anti-parlamentarismo, che da 30 anni trova humus fertile, abbia fatto molta strada?

L’anti-parlamentarismo c’è, senza dubbio, ed è tra i motivi ispiratori di alcune condotte politiche. Ma non è solo un problema italiano. C’è in Francia, in Germania, negli Stati Uniti: è un problema con cui stanno facendo i conti molte democrazie. Il Parlamento e la rappresentanza sono oggetto di attacchi permanenti, continui. Basta pensare a quello che scrivevano Hitler o Lenin sul Parlamento: gli estremismi sono contro la rappresentanza.



Il taglio dei parlamentari è fondamentalmente una battaglia identitaria del M5s, con chiare connotazioni populiste e anti-parlamentariste. Le ragioni del Pd, che ha dato il suo assenso dopo aver votato contro per tre volte consecutive, su che basi poggiano?

Premesso che anche questa è una domanda che andrebbe posta al Pd, a mio avviso l’idea storica della sinistra è il superamento del bicameralismo paritario, mantenendo la forza della rappresentanza, e non svilendola. La differenza più evidente con il M5s consiste nel fatto che i Cinquestelle hanno in mente, e lo hanno detto sempre con lealtà e chiarezza, la deparlamentarizzazione del sistema politico. Due visioni molto diverse. Il Pd dovrebbe avere il coraggio di difendere il Parlamento.

Visto che i sondaggi danno in larghissimo vantaggio i Sì e qualora dovesse essere confermata questa previsione, il giorno dopo l’esito del referendum come si concilierebbero queste visioni divergenti di M5s e Pd sul ruolo del Parlamento e della democrazia rappresentativa?

Il Pd, per garantire il patto di governo e scongiurare quello che si prospettava dopo la crisi dell’agosto 2019, a un certo punto ha fatto bene a cambiare voto sul taglio dei parlamentari. Ma adesso potrebbe chiedere ai Cinquestelle di sostenere quelle correzioni necessarie per il superamento del bicameralismo paritario.

E il M5s potrebbe accettare questa proposta?

Non so. Dipenderà molto anche dall’esito delle elezioni regionali e dalla situazione politica generale dopo il 21 settembre.

Fare previsioni è sempre difficile, ma secondo lei che scenario potrebbe configurarsi dopo il voto su referendum e regionali?

Conta di più il voto delle regionali, perché l’esito del referendum sembra  scontato, si discute solo su quanto sarà lo scarto a favore dei Sì. Tanto più se il Pd sostenesse questa proposta, che garantirebbe una certa sicurezza anche agli elettori un po’ incerti, spingendoli a votare Sì sapendo che poi si arriverebbe alla riforma del bicameralismo.

E alle regionali come potrebbe andare a finire?

C’è chi dice che finirà addirittura 7-0, chi 3-3. Non lo so, vedremo, molto difficile prevederlo.

M5s, Pd e Italia Viva potrebbero andare in rotta di collisione sulle riforme costituzionali dopo il voto sul referendum? E potrebbero mettere in discussione anche l’accordo faticosamente trovato sulla proposta di riforma della legge elettorale?

Se lo scenario che uscirà dal voto del 21 settembre non sarà così grave per il governo, credo che l’intesa si potrà trovare. Se invece le cose si mettono male per la coalizione di governo, qualche ragionamento andrà certamente fatto.

Ipotesi che può valere anche in caso di 5-1 per il centrodestra? Conte, Zingaretti e Di Maio escludono ripercussioni sul governo…

Le escludiamo tutti. E poi un governo non può stare appeso a ogni elezione. Negli ultimi vent’anni , in media, tra referendum, elezioni europee, politiche, amministrative e crisi di governo, i partiti si sono scontrati una volta ogni 5 mesi. In una situazione del genere diventa difficile costruire una strategia. Mi permetto allora di suggerire che occorrerà accorpare le elezioni regionali e comunali alle politiche. Altrimenti, si vota troppo frequentemente e non c’è tempo per pensieri di media durata.

C’è chi dice che dopo la vittoria del Sì e la crisi inevitabile del Parlamento, i partiti saranno obbligati a fare le riforme necessarie. Sarà davvero così?

Una volta che vince il Sì, qualcuno dirà: bene, lasciamo le cose come stanno perché questa è l’indicazione che ci viene dall’elettorato. Per questo – lo ribadisco – è importante che il Pd prenda una posizione chiara sul bicameralismo paritario, perché dà un significato costruttivo, non distruttivo, al Sì. Se non lo facesse, le conseguenze sarebbero evidenti.

Sempre nel suo articolo di ieri su Repubblica lei chiede “una posizione chiara e impegnativa sulla centralità del Parlamento”, seguita da “coerenti iniziative parlamentari e politiche”. In concreto?

Significa sostenere una nuova forma di bicameralismo che rimetta al centro il Parlamento nella vita politica. Una delle ragioni dell’attuale crisi dipende proprio dalla difficoltà decisionale del Parlamento.

Che il sistema politico italiano abbia bisogno di una modernizzazione costituzionale concordano in molti. Su quali altri punti, oltre che sul bicameralismo differenziato, bisognerebbe intervenire?

La sfiducia costruttiva, dando la possibilità di presentarla solo indicando quale sarà il premier del futuro governo, altrimenti la mozione diventa inammissibile. Bastano questi due interventi per cambiare rotta al Paese.

Sono obiettivi raggiungibili?

Sì, è possibile raggiungerli: non credo che ci sia chi abbia a cuore l’instabilità dei governi.

(Marco Biscella)

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