A parte le sfide ancora aperte in Puglia e in Toscana, nelle altre quattro regioni al voto (Veneto, Liguria, Campania e Marche) secondo i sondaggi elettorali i giochi sembrano fatti e anche sul referendum confermativo per il taglio dei parlamentari la partita sembra chiusa, con i Sì nettamente in vantaggio sui No. Le giornate elettorali del 20-21 settembre regaleranno poche, anche se potenzialmente esplosive, sorprese? Secondo Carlo Buttaroni, sociologo, politologo e presidente dell’istituto di sondaggi Tecnè, potrebbe non finire così. Perché, rispetto alle elezioni passate, oggi a dare grande incertezza concorre una serie di variabili esogene, tutte direttamente o indirettamente legate alla presenza del Covid. Premesso che saranno le prime elezioni nella storia della Repubblica a tenersi nel pieno di un’emergenza sanitaria, il coronavirus inciderà sulla volontà di andare fisicamente ai seggi (“Quanti hanno veramente intenzione di andare a votare? Oggi non lo sappiamo” ammette Buttaroni) e su alcune categorie di votanti, in particolare gli anziani e i delusi. “Gli over 65 – spiega Buttaroni – potrebbero temere di contagiarsi, disertando il voto, e da sempre gli anziani rappresentano una fetta importante di elettorato. Con quale esito sulle stime di voto?”. E i delusi invece? “Conteranno moltissimo”, anche perché “esprimono una forte spinta al cambiamento, specie in regioni come Marche e Toscana, e sono più motivati ad andare alle urne di quelli che vogliono confermare l’assetto attuale”. Dunque – è il succo del ragionamento -, impossibile fare previsioni, difficile azzeccare i risultati, prepariamoci anche a possibili “rovesciamenti” degli scenari attuali.



Partiamo dal referendum confermativo sul taglio dei parlamentari. Sondaggi e osservatori danno il Sì nettamente in testa, ma il fronte del No si sta allargando e conquista spazi. Quanto saranno importanti le ultime due settimane di campagna elettorale?

In tutte le elezioni sono importanti le ultime due settimane e in questa circostanza in modo particolare, ma la maggior parte delle persone, interpellate sul referendum, non sa neppure di cosa si sta parlando. Essendoci così poca conoscenza, uno esprime anche un’opinione, ma poi andrà a votare? Noi non sappiamo quanti andranno né sappiamo quanto forte sia la spinta ad andare a votare per un referendum che suscita scarso interesse, soprattutto adesso che c’è una situazione sanitaria in peggioramento e una crisi economica che è in cima alle preoccupazioni degli italiani. E se il 20 settembre l’allarme Covid fosse così alto da spingere solo i più motivati ad andare ai seggi? Con queste premesse e con queste incognite, difficile prevedere come andrà a finire. Non è da escludere che le stime attuali possano anche essere rovesciate.



Eppure il taglio dei parlamentari viene presentato dai media come un tema di facile presa che tocca la “pancia” degli italiani…

E’ vero, è un referendum molto d’istinto e ha una connotazione anti-casta molto accentuata, ma questo non basta a portare la gente alle urne. Crea tutt’al più un’aura. E’ altrettanto vero, poi, che se si va oltre l’impatto epidermico e si tenta di capire quale sarà la sua messa a terra, il tema del referendum innesca altre riflessioni, che riguardano il funzionamento del Parlamento e di una democrazia.

Quanti andranno al voto? C’è chi dice non più del 30% a livello nazionale…



Nelle sette regioni in cui si vota ci sarà sicuramente un effetto-traino, ma va ricordato che storicamente la partecipazione ai referendum costituzionali è sempre stata bassa, anche perché il raggiungimento del quorum non è necessario. L’unica eccezione è stato il voto sulla riforma costituzionale voluta da Renzi, ma in quel caso la posta in gioco, tutta politica, era ben altra.

Il quorum non è determinante, ma una scarsa affluenza potrebbe essere un segnale negativo per Di Maio e il M5s, che proprio sul taglio dei parlamentari si stanno giocando una partita identitaria molto forte?

E’ una bandiera dei Cinquestelle, che incassino il risultato con una più o meno bassa affluenza poco cambia dal punto di vista del risultato politico. Certo, gli altri avrebbero buon gioco a dire che la partecipazione e l’interesse degli italiani erano scarsi.

Il fronte del No potrebbe essere “tentato” dal sogno di far fare a Di Maio la stessa fine di Renzi che subì una cocente sconfitta nel referendum costituzionale?

Se dovessero vincere i No, sarebbe un duro colpo per la tenuta del M5s. Ma più che a una spallata esterna, visto che di spallate ne ricevono ogni giorno, assisteremmo a un’implosione interna, perché mancherebbe quel successo politico che permetterebbe a Di Maio e ai Cinquestelle di avere ancora una base che giustifichi la permanenza al governo.

Il 20-21 settembre si voterà anche in sei regioni. Tre scenari possibili: 3-3, 4-2 o 5-1 per il centrodestra. Lei ha passato l’estate girando nei territori dove si vota. Che impressioni ne ha tratto?

Il risultato oggi più probabile è un 4-2, con il centrodestra in vantaggio in Veneto, Liguria, Marche e Puglia, il centrosinistra in Toscana e Campania.

Veneto, Liguria, Marche e Campania sembrano blindate. Toscana e Puglia sono più contendibili. Ci aspettano 15 giorni di campagna elettorale infuocata?

In Toscana e in Puglia le forchette dei due candidati principali si toccano, quindi può succedere di tutto. Ma una considerazione è d’obbligo.

Prego.

Ci troviamo per la prima volta di fronte a un’elezione su cui incombe un’epidemia. In un contesto di partecipazione già mediamente basso, eccetto in Veneto e Liguria, c’è una variabile esogena nuova rispetto al passato: la probabile bassissima affluenza degli over 65, preoccupati o spaventati dall’emergenza sanitaria. La componente più importante, nelle precedenti elezioni, era costituita proprio dai 45enni in su.

Cosa potrebbe succedere?

In questa tornata elettorale la scarsa partecipazione degli over 65 può cambiare gli equilibri politici: quanto più mancherà il voto degli anziani, tanto più possono risentirne le stime attuali.

Ne risentirebbe di più la continuità politica o il desiderio di cambiare?

Difficile dirlo: dipende molto dalla capacità di mobilitazione e dalle singole situazioni locali.

Che ruolo possono giocare gli indecisi o i delusi?

Conteranno moltissimo. Anzi, sul fronte dei delusi, si nota un innalzamento del profilo politico dei loro comportamenti elettorali.

In che senso?

Esprimono una forte spinta al cambiamento, specie in regioni come Marche e Toscana, e sono più motivati ad andare alle urne di quelli che vogliono confermare l’assetto attuale.

In questo nuovo profilo politico dei delusi quanto hanno pesato le scelte economiche per fronteggiare la crisi innescata dalla pandemia – annunci roboanti, ma risultati pratici inferiori alle aspettative – del governo Conte?

Tantissimo. Con l’emergere dell’emergenza economica e sull’onda del consenso che raccoglieva per il modo con cui ha saputo all’inizio affrontare la pandemia, il governo ha annunciato, anche con molta enfasi, provvedimenti importanti, ma la messa a terra, soprattutto per le Pmi che costituiscono l’ossatura del nostro tessuto produttivo, è stata ampiamente deficitaria. Si è visto ben poco, come mostrano i dati negativi sui consumi e sul mercato del lavoro. E questo spiega il profondo e diffuso malessere sulla situazione economica, che peserà molto sul voto regionale, soprattutto su Pd e M5s.

Il combinato disposto referendum-regionali a chi potrebbe fare più male: a Conte, a Zingaretti o a Di Maio? E che impatto potrà avere il voto sulle sorti del governo?

Farà male a tutti e tre. Ma chi pagherà il prezzo più alto sarà Zingaretti.

Perché?

Di Maio, se il referendum passa, incassa un successo politico. Invece nel Pd, se dovesse perdere Regioni e consensi in misura significativa rispetto al dato delle Europee e delle Politiche 2018, si potrebbe aprire una grande frattura, avviando un congresso a cielo aperto dagli esiti imprevedibili e che potrebbero travolgere anche Conte.

Da un po’ di tempo a questa parte Conte tace. Perché?

Conte al momento è un po’ più al riparo rispetto a Di Maio e a Zingaretti: conserva una dote di giudizi positivi – seppure in calo rispetto a marzo-aprile, quando godeva di una forte spinta – derivanti da come ha gestito l’emergenza sanitaria. Il suo silenzio potrebbe avere due motivazioni: da un lato, si rende conto che è difficile annunciare qualcosa di fronte a un’onda anomala che sta montando, quella della crisi economica, con numeri purtroppo impietosi e con un autunno che si presenta con i peggiori presagi.

E la seconda ragione?

Qualsiasi cosa dica adesso, rischia di compromettere il fragile equilibrio su cui si basa oggi il rapporto tra M5s e Pd.

A livello nazionale la Lega sembra aver superato una fase di sbandamento e oggi è in recupero. Che cosa aiuta Salvini?

La debolezza del governo e la debolezza del Pd, che ancora oggi è un campo, più che un partito, dove convivono componenti e visioni molto diverse tra loro: tra Bonaccini e De Luca c’è un abisso. Salvini, poi, quando ci sono le campagne elettorali, si dimostra sempre molto presente e dove passa fa aumentare i consensi: con la Meloni è oggi il politico che ha la maggiore capacità di mobilitazione dell’elettorato.

Il Covid sembra rialzare la testa: gli italiani sono più preoccupati per un possibile ritorno dell’emergenza sanitaria o per quella economica che rischia di essere più dura del previsto?

Purtroppo le due emergenze non si possono più scindere: gli italiani hanno capito benissimo che a una crescita della curva epidemica dei contagi corrisponde un inasprimento delle condizioni economiche. Ecco perché cresce la paura, sia sul fronte sanitario che su quello economico.

Il 14 settembre riaprono le scuole e 7 genitori su 10 si dicono preoccupati. Quanto può incidere il tema scuola sulle sorti del governo Conte?

La scuola sarà una cartina di tornasole dagli esiti pericolosi non solo per le sorti del governo, ma anche del paese. Basta guardare alla Francia: dopo quattro giorni dall’apertura hanno dovuto chiudere 22 scuole, con ripercussioni politiche immediate su Macron. Il tema della riapertura della scuola e delle regole sulla sicurezza sia stato affrontato con grave ritardo. Se dovesse alzarsi molto la curva dei contagi e se le linee guide decise da governo e Cts dovessero dimostrarsi inefficaci, la scuola può diventare il fattore visibile di una crisi politica e un duro colpo al proseguo del governo Conte.

(Marco Biscella)