Il referendum di domenica per la riduzione del numero dei rappresentanti degli italiani in Parlamento non è una riforma utile per il nostro Paese, bensì una superflua e per certi versi dannosa amputazione costituzionale. Come tale, difficilmente produrrà i vantaggi che sostengono i promotori del Sì e avrà come probabile effetto quello di causare malfunzionamenti alla nostra già poco efficiente democrazia parlamentare. Sarebbe meglio specializzare il nostro Senato in una Camera per gli affari internazionali che assorba anche le funzioni dei nostri europarlamentari e svolga altri ruoli di rappresentanza istituzionale internazionale.



Referendum, meglio specializzare una Camera che tagliarne inutilmente due lasciando la duplicazione

Una vittoria del Sì al referendum di domenica non abolirà il bicameralismo, opzione radicale ma che avrebbe avuto senso per ridare forza e celerità all’istituzione parlamentare rispetto all’esecutivo. Verrà invece ulteriormente depotenziato lo Stato centrale a vantaggio di altri poteri non statuali (o esteri) nel nome di un vuoto anti-parlamentarismo che persegue un progetto di desovranizzazione populista. E che creerà una Italia sempre più debole e ingovernabile di fronte a sfide sempre più complesse.



È chiaro che il problema del nostro parlamentarismo inefficiente non è nell’esistenza delle due Camere, quanto nel fatto che esse abbiano sostanzialmente gli stessi ruoli, gli stessi poteri e una simile rappresentanza. Questo problema della duplicazione delle funzioni delle due Camere gemelle non si può risolvere lasciando in vita Camera e Senato ma sforbiciandone, quasi per sfregio, il numero dei membri.

Al tempo stesso, le prove che aspettano l’Italia nei prossimi anni e la difficile congiuntura globale rappresentano il momento peggiore per tentare questi maldestri esperimenti costituzionali. Quello che sorprende l’osservatore è la rilevanza che si è voluta dare a un tema assolutamente secondario come quello del numero dei parlamentari, mentre, al tempo stesso, ben pochi hanno chiara l’entità delle sfide interne e internazionali che attendono il nostro paese nei prossimi anni.



E ben pochi hanno consapevolezza che, se è vero che in alcuni ambiti del nostro Stato vi sono inefficienze, sprechi, duplicazioni e sovrabbondanza di personale, ve ne sono tanti altri in cui le istituzioni sono decisamente sottodimensionate per capitale umano e risorse finanziarie impiegate, i due asset fondamentali che, se correttamente combinati, producono la forza istituzionale dello Stato.

In altre parole, prima di tagliare a casaccio le istituzioni, bisognerebbe tenere presente il paradosso di uno Stato che è al tempo stesso troppo grande e troppo piccolo, troppo presente in alcuni campi e assolutamente carente in altri. Nel momento in cui si vuole modificare l’assetto istituzionale del Paese sarebbe doveroso che ogni azione fosse calibrata al riequilibrio delle risorse, spostandole da dove sono superflue o in eccesso a dove sono mancanti. Non c’è niente di peggio che sprecare il momento del cambiamento solamente per distruggere e non per costruire.

Referendum, il grande vuoto del ruolo internazionale dell’Italia

I campi della politica estera, delle relazioni internazionali, delle grandi scelte strategiche e di sicurezza sono certamente alcuni tra i settori delle istituzioni sotto-rappresentate per risorse umane e finanziarie e, soprattutto, con una bassa partecipazione e consenso popolare.

Pochissimi sono gli italiani che s’interessano di politica estera; pochi i politici che ne conoscono i rudimenti e se ne occupano; sempre più rarefatti e non di rilevanza internazionale gli esperti e i centri studi; mentre sono da cercare con il lumicino gli spazi di esteri su giornali e tv; mentre i nostri diplomatici operativi nelle sedi estere sono ormai surclassati in proporzioni che vanno verso il rapporto di 1 a 10 con i Paesi paragonabili al nostro per grandezza e interessi internazionali.

Insomma, ogni raffronto internazionale ci vede assolutamente soccombenti per risorse finanziarie e umane che il nostro paese dedica agli affari internazionali, nelle sue molteplici accezioni. Anche per questo, il nostro paese sta drammaticamente uscendo di scena dai principali fori politici internazionali e abbiamo raggiunto probabilmente il punto più basso nella capacità d’azione della nostra politica estera dall’unità d’Italia a oggi. E ciò non per errori dei nostri diplomatici, ma per mancanza di governo politico degli affari internazionali.

Perché allora non tentare la via di efficientare il sistema parlamentare recuperando al tempo stesso peso politico internazionale?

Un’ipotesi sarebbe quella di differenziare le funzioni del Senato della Repubblica dalla Camera dei deputati, specializzando il Senato proprio negli affari internazionali, eleggendo i senatori con un mandato limitato e diretto per la gestione degli affari parlamentari internazionali del nostro Paese.

Referendum, i poteri speciali di un Senato internazionale

Il Senato della Repubblica andrebbe dunque mantenuto in vita, nella composizione attuale di 315 senatori, senza il potere di votare la fiducia al governo, che rimarrebbe di esclusiva competenza della Camera, ma con un potere di codecisione per le leggi internazionali. Al Senato verrebbero poi attribuite poche e qualificate funzioni di politica e diplomazia internazionale, in stretto raccordo con il ministero degli Affari esteri, tra cui: la rappresentanza degli interessi italiani al Parlamento europeo; la funzione di Commissione Affari esteri e di Commissione Affari europei della Camera; ruolo di diplomazia inter-parlamentare con i paesi extra-europei; ruolo di diplomazia economica e commerciale; bacino per la nomina di inviati speciali, mediatori, osservatori elettorali, funzionari distaccati nelle organizzazioni internazionali; attività di supporto all’internazionalizzazione delle regioni; funzione di consulenza strategica delle istituzioni per strategie internazionali; potere di approvazione del bilancio per le missioni militari internazionali; potere di controllo sui servizi di intelligence esterni. Il presidente del Senato potrebbe avere il ruolo di viceministro degli Esteri.

Di tutte queste funzioni quella più importante sarebbe quella di utilizzare i senatori come europarlamentari, dando ad alcuni di essi un doppio mandato, nel Senato e nel Parlamento europeo. D’altronde, bisogna ricordare che il Parlamento europeo esiste da molti più anni delle elezioni europee, che furono introdotte per la prima volta nel 1979. Dal 1952 al 1979, anni in cui l’Unione Europea ha svolto una funzione politica preziosa e notevole, gli europarlamentari non erano eletti, bensì nominati dai parlamenti nazionali. L’Unione Europea chiede solamente che essi siano eletti nei Paesi membri e non più nominati.

Nulla toglie, pertanto, che alcuni di essi possano essere eletti con un doppio mandato, a Roma e a Bruxelles. In questo modo si otterrebbero dei risparmi nei costi, si raccorderebbe l’attività parlamentare europea con i processi politici e parlamentari nazionali e si rafforzerebbe la tutela dell’interesse nazionale nelle istituzioni europee.

Soprattutto, si porrebbe un contrappeso istituzionale a quel processo di erosione della sovranità nazionale che è avvenuta negli anni a discapito del Parlamento nazionale a causa della crescita delle istituzioni europee e sovranazionali e che fa oggi pensare a molti che il Parlamento sia un organo superfluo da tagliare per fare piccole economie di cassa.

Il taglio inutile dei parlamentari senza modifica delle funzioni delle Camere che una vittoria del Sì al referendum produrrà renderà insufficiente il numero dei parlamentari in entrambe le Camere, non migliorerà il processo legislativo, aumenterà la dipendenza e subalternità dei parlamentari da poteri non democratici, non risolverà nessuno dei problemi di rafforzamento delle istituzioni nei settori in cui ce n’è disperato bisogno.

Trasformare il Senato in una Camera dedicata al governo delle relazioni internazionali vuol dire, al contrario, avvicinare la politica estera ai cittadini, dare strumenti per rafforzare l’azione internazionale dell’Italia, aprire nuovi fronti politico-diplomatici con i Parlamenti delle principali aree geografiche di nostro interesse, sostenere le nostre imprese nei processi di internazionalizzazione e creare un baluardo di democrazia di fronte ai processi di erosione della sovranità e a quelli di privatizzazione delle relazioni internazionali.