Occhi puntati sulla Consulta. Da oggi pomeriggio, infatti, la Corte costituzionale esaminerà l’ammissibilità della richiesta di referendum avanzata dalla Lega per eliminare la quota di proporzionale del Rosatellum. Una decisione che si intreccia con la proposta di legge elettorale avanzata dalla maggioranza giallo-rossa (il cosiddetto Germanicum, un proporzionale puro con soglia di sbarramento al 5% e diritto di tribuna) e con il referendum sul taglio dei parlamentari. Che scenari si possono prefigurare? “Rispetto al giudizio della Corte – risponde Enzo Cheli, costituzionalista ed ex vice-presidente della Consulta – la presentazione del Germanicum non cambia minimamente”.
Prima di spiegarci il perché, ci può dire qual è la sua valutazione sul Germanicum?
È una soluzione un po’ semplificata per la nostra situazione politica attuale, ma abbastanza ragionevole. Credo, però, che in corso d’opera andrà incontro ad alcuni aggiustamenti.
Nessun difetto di fondo?
Quello che manca è un correttivo in senso maggioritario. Tutti i sistemi elettorali, a partire dal Mattarellum, dalla fine degli anni 90, sono nati da una combinazione tra principio proporzionale e principio maggioritario. E credo che la soluzione naturale per il sistema politico italiano sia proprio di individuare il punto di equilibrio tra questi due sistemi. Sono da evitare sia i sistemi proporzionali puri che i maggioritari puri. Oggi tuttavia si sta imboccando la strada verso un proporzionale puro con un lieve correttivo del diritto di tribuna. È un po’ poco.
Accennava prima che il Germanicum non cambia il contesto in cui la Corte costituzionale è chiamata a esprimersi sull’ammissibilità del referendum leghista sul Rosatellum. Perché?
La Consulta deve giudicare in base alla realtà giuridica del giorno in cui viene chiamata a decidere e nel giudizio che deve adottare c’è un elemento tecnico insuperabile ai fini appunto dell’ammissibilità.
Quale?
È il vuoto che si creerebbe nella legge elettorale ove si dovesse ammettere il referendum abrogativo. Pertanto, nonostante la presenza di questo progetto di legge alla Camera e nonostante la presentazione da parte di 5 Regioni di un conflitto di attribuzione che mira a cambiare una norma sui referendum per dare al Capo dello Stato un potere di rinvio dell’entrata in vigore del risultato del referendum una volta realizzato, credo che l’ammissibilità del referendum sia assolutamente da escludere.
Salvini prima e Giorgetti poi, a nome di tutta la Lega, hanno dichiarato di voler “appoggiare il Mattarellum, che garantisce stabilità”. È una mossa per forzare un po’ la mano alla decisione della Consulta?
Non c’è dubbio. È l’ultimo dei tentativi per superare l’inammissibilità. Il primo è stata, appunto, la proposizione di questo conflitto di attribuzione tra poteri delle Regioni e dello Stato su cui la Corte deve decidere pregiudizialmente, e il secondo tentativo è proprio questo rilancio dell’ipotesi di tornare al Mattarellum.
Che ne pensa?
Nel merito, è un’ipotesi ragionevole. Dal punto di vista della prospettiva politica penso che il Mattarellum rimanga ancora la legge elettorale migliore per questo paese. Però è un’indicazione politica che non può superare la difficoltà tecnica che la Corte affronterà oggi nella decisione.
A 30 anni di distanza, dopo aver sperimentato Porcellum, Italicum, Rosatellum, si torna ancora al Mattarellum?
In effetti è un po’ paradossale, ma tutta la vita politica del nostro paese negli ultimi 30 anni è un po’ paradossale. Ma di tutti i tentativi di legge elettorale che si sono fatti finora, dopo l’abbandono del proporzionale nel 1993, il Mattarellum è senza dubbio quello che ha funzionato meglio. Perlomeno è riuscito a determinare un bipolarismo e un’alternanza tra centrodestra e centrosinistra. Tutte le leggi successive hanno funzionato peggio, aggravando il difetto di fondo del sistema politico italiano: la frammentazione.
Diamo per acquisita l’inammissibilità del referendum e dopo aver avviato l’iter per la consultazione popolare sul taglio dei parlamentari, grazie tra l’altro proprio al soccorso leghista al fotofinish, a quel punto l’intreccio istituzionale si scioglierebbe?
Sì, una volta che la Corte abbia dichiarato inammissibile sia il conflitto di attribuzione presentato negli ultimi giorni dalle 5 Regioni, pregiudiziale al giudizio di ammissibilità sul referendum, sia lo stesso referendum della Lega, si creerebbe uno spazio temporale per fare la legge elettorale attuativa della nuova composizione del Parlamento. È la soluzione naturale.
Verso quale soluzione?
Il referendum confermativo sulla riduzione dei parlamentari si celebrerà non prima di maggio-giugno. Esiste dunque il tempo sufficiente per poter fare la nuova legge elettorale, costruita in funzione della riduzione dei parlamentari. Si sta cioè imboccando una via naturale per sciogliere i diversi nodi istituzionali che si sono intrecciati in queste settimane.
E se invece la Corte ammettesse il referendum abrogativo?
La situazione diventerebbe praticamente ingarbugliata e ingestibile.
Perché?
Perché passerebbe una linea di modifica della legge in atto in senso totalmente maggioritario e non ci sarebbe la possibilità di superare il referendum se non approvando una legge fortemente maggioritaria, cioè su una linea opposta a quella che si sta oggi discutendo in Parlamento. Un intreccio da cui sarebbe difficile uscire. Esiste, dunque, anche una ragione di politica istituzionale, per quello che può valere per una Corte costituzionale, per dire no al referendum. Ma il motivo fondamentale, lo ripeto, resta tecnico.
Non basterebbe neppure un accordo politico sul ripristino del Mattarellum?
Sarebbe molto difficile e sarebbe un po’ poco rispetto a un passaggio al maggioritario puro.
Il ministro Franceschini ha difeso il Germanicum, dicendo che consente ai partiti una maggiore libertà di scelta nella formazione dei poli, meno forzata dalla legge elettorale, dopo il voto. Concorda?
È una valutazione un po’ troppo ottimistica sul funzionamento del sistema politico italiano. Se attraverso la legge elettorale e un sistema completamente proporzionale, aumentiamo inevitabilmente la frammentazione, poi è una scommessa molto grossa quella di pensare che forze tra loro divise trovino un accordo in Parlamento.
Chi trarrà maggiori vantaggi dal Germanicum?
Il Germanicum non avvantaggia nessuno, contrasta qualcuno, perché nasce dalla stessa logica che aveva ispirato il Caldarellum, o Porcellum che dir si voglia: la logica non di ottenere un risultato positivo, ma negativo per la forza opposta.
Eppure, in base alle prime simulazioni sui seggi di un futuro Parlamento eletto con il Germanicum e dopo il taglio dei parlamentari, a essere premiata sarebbe la coalizione di centrodestra, che sarebbe in netto vantaggio sul centrosinistra sia alla Camera che al Senato.
Il Germanicum è una legge contro il maggioritario, pensata per non avere qualcosa che si teme: impedire al centrodestra di stravincere con una maggioranza ancora più ampia. È questa la vera anomalia del sistema politico italiano: usare le leggi elettorali per obiettivi di politica contingente. Invece le leggi elettorali dovrebbero essere cambiate una volta ogni generazione e non usate di volta in volta per la lotta politica di breve cabotaggio.
Stabilità e alternanza fanno così paura agli italiani?
Difficile dare una risposta. Finora non si è capito che cosa veramente vogliano gli italiani in tema di leggi elettorali. Certo, stabilità e alternanza sono grandi vantaggi, ma non si raggiungono per forza con le leggi elettorali. Ci si arriva attraverso una profonda revisione del sistema dei partiti e del funzionamento della macchina politica dei partiti. In Italia invece si è sempre cercato di forzare il quadro politico per interessi contingenti attraverso le riforme elettorali, ma non è questo il modo per creare equilibrio in un sistema politico. Occorrerebbe una profonda trasformazione all’interno dei partiti, chiamati a riconquistare un nuovo rapporto di fiducia con il corpo sociale.
(Marco Biscella)