REFERENDUM EUTANASIA BOCCIATO: ECCO PERCHÈ
«È inammissibile il quesito sull’omicidio del consenziente: non assicura la tutela minima del diritto alla vita»: così la Corte Costituzionale espone le motivazioni della sentenza numero 50 avvenuta il 15 febbraio scorso dopo la conferenza stampa del Presidente Consulta Giuliano Amato.
Il referendum sull’eutanasia – tecnicamente sull’abrogazione parziale dell’articolo 579 del Codice penale (omicidio del consenziente) – è stato certamente il quesito che ha sollevato più polemiche e discussioni nei mesi che hanno accompagnato la raccolta firme dell’Associazione Luca Coscioni: nelle motivazioni riportate oggi dalla Consulta si legge come il rendere lecito l’omicidio del “consenziente”, «di chiunque abbia prestato a tal fine un valido consenso, priva la vita della tutela minima richiesta dalla Costituzione». La sentenza è stata depositata dal redattore Franco Modugno e viene riportato ogni dettaglio costituzionale a motivo della bocciatura di quel referendum: «avrebbe reso penalmente lecita l’uccisione di una persona con il consenso della stessa al di fuori dei tre casi di “consenso invalido” previsti dal terzo comma dello stesso articolo 579: quando è prestato da minori di 18 anni; da persone inferme di mente o affette da deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di alcool o stupefacenti; oppure è estorto con violenza, minaccia o suggestione o carpito con inganno». Amato nel contestare le accuse piovute su di lui e sugli altri magistrati della Corte aveva sottolineato come «Noi siamo d’accordo sull’eutanasia, va benissimo il modello del suicidio assistito. Ci vuole una legge. Non abbiamo cercato peli nell’uovo».
LE MOTIVAZIONI DELLA CONSULTA SUL REFERENDUM FINE VITA STOPPATO
Tornando al testo delle motivazioni, la Corte Costituzionale sottolinea come nell’accettare il referendum sull’eutanasia avrebbero dato «la piena disponibilità della vita da parte di chiunque sia in grado di prestare un valido consenso alla propria morte, senza alcun riferimento limitativo». L’approvazione del referendum, e l’eventuale vittoria del Sì, avrebbero reso nei fatti lecito l’omicidio di chiunque vi abbia validamente consentito, a prescindere però dei motivi per i quali il consenso è stato prestato: scrivono i giudici, «a prescindere anche dalle forme in cui è espresso, dalla qualità dell’autore del fatto e dai modi in cui la morte è provocata». Come ha spiegato in conferenza stampa l’ex Premier Amato, con il via libera a quel quesito referendario si sarebbe andati ben al di là dei casi nei quali «la fine della vita è voluta dal consenziente prigioniero del suo corpo a causa di malattia irreversibile, di dolori e di condizioni psicofisiche non più tollerabili». La Corte ha invece rilevato che l’incriminazione dell’omicidio del consenziente, sebbene sia stata creata dai padri costituzionali con «logica statalista», è stata pensata «allo scopo di proteggere il diritto alla vita, soprattutto – ma non soltanto – delle persone più deboli e vulnerabili di fronte a scelte estreme, collegate a situazioni, magari solo momentanee, di difficoltà e sofferenza, o anche soltanto non sufficientemente meditate». Centrale il passaggio in cui la Consulta precisa i termini della questione umana e giuridica al tempo stesso: «quando viene in rilievo il bene “apicale” della vita umana, la libertà di autodeterminazione non può mai prevalere incondizionatamente sulle ragioni di tutela del medesimo bene, risultando, al contrario, sempre costituzionalmente necessario un bilanciamento che assicuri una sua tutela minima». Da ultimo, i giudici della Corte Costituzionale rilevano come la tutela minima della vita non sarebbe stata garantita nel referendum dei radicali dalla punibilità dei tre casi di consenso invalido: «Le situazioni di vulnerabilità e debolezza non si esauriscono nella minore età, infermità di mente e deficienza psichica, ma possono connettersi, oltre che alle condizioni di salute, a fattori di varia natura (affettivi, familiari, sociali o economici)».