È un po’ come il dilemma del prigioniero, quello in cui si dibatterebbe il Pd, se avesse ancora nervi e muscoli funzionanti per dibattersi in qualche modo, del che è lecito dubitare.
Cioè: se il Pd collabora con i grillini e spinge perché i suoi elettori votino “Sì” al referendum, come useranno poi i grillini quest’aiuto: per schiacciare ulteriormente l’alleato piddino nella quotidiana cooperazione di governo o per ricambiare lealmente il favore lasciandogli un po’ di spazio? e se invece il Pd, rievocando la propria posizione originaria ribadita dall’aver condizionato il Sì a una riforma elettorale che non s’è fatta, appoggiasse invece il No al referendum, i grillini cosa farebbero?
Per ripicca premerebbero il bottone dell’autoaffondamento per la nauseante alleanza di governo che hanno mostruosamente costruito dopo l’altro autoaffondamento dell’ex Capitan Salvini facendo saltare l’alleanza col Pd oppure, per amor di poltrona, abbozzerebbero?
Zingaretti non lo sa, ma un’evidenza s’impone. Il Movimento 5 Stelle è meritatamente allo sbando. Vincere il referendum è l’ultima spiaggia.
La fazione Dibattistian-Casaleggiana, con l’incerto sostegno di Fico, è talmente distante da Di Maio che solo lo sputo li tiene ancora insieme, lo sputo metaforico che si scambiano quotidianamente su tutti i temi. L’avocazione a sé e a Speranza delle materie scolastiche deciso dal premier Conte a carico dell’inconsistente ministra Azzolina è la riprova che ormai il presidente del Consiglio gioca, o tenta di giocare, o è costretto a giocare, una partita in proprio, che lo conduce fatalmente a prendere le distanze da una simile compagnia sgangherata e incompetente. Se miracolosamente si votasse domani, i sondaggi dicono che i pentastellati dimezzerebbero di netto i consensi.
Essere arrivati al referendum su un’iniziativa populistissima della prima ora grillina – ridurre il numero dei parlamentari – è il frutto avvelenato del patetico inseguimento del consenso messo in atto da Pd e Forza Italia negli anni. Semplicemente non ci si doveva arrivare.
Ora la frittata è fatta. Si voterà una scelta in sé anche passibile di qualche considerazione – per chi scrive, sbagliatissima comunque: ma sono opinioni – però così come si profila è oggettivamente sbagliatissima perché scissa dalla complementare e indispensabile riforma elettorale che non c’è stata e che gli stessi grillini, sapendo di mentire, s’erano invece impegnati a varare.
E dunque far vincere il Sì significa dare ai Cinquestelle una boccata d’ossigeno da terapia intensiva, totalmente immeritata ma mediaticamente vigorosa.
Significa rinnovare l’equivoco che quest’accolita di scappati di casa – salvo le poche individualità di qualche spessore e i tanti sprovveduti in buona fede che li hanno votati – abbia una visione del futuro del Paese, senza capire che l’unica loro visione significativa è quella demolitrice dell’esistente ma non edificatrice di alcun futuro, e l’unica mira indiscutibile è quella dell’appannaggio mensile, meglio se da non dividere più col Movimento, come molti eletti grillini hanno da tempo iniziato a fare.
La triste vacuità politica del Pd (e anche un po’ di Forza Italia), la profonda codardia del loro non sapersi riproporre agli italiani – neanche adesso che guardano desolati e stremati l’includenza di questo esecutivo – come gli unici partiti responsabili, rischia di condannarli a un inevitabile ruolo da utili idioti, portatori d’acqua autolesionisti di un Movimento che li sta trascinando nel suo affondare e che non potrà mai più prestare loro alcun appiglio.
A lato c’è la Lega, impastoiata in uno dei suoi vecchi slogan populisti e mutilata del cavallo di battaglia del suo leader, l’immigrazione, che si sta certamente riacutizzando nei numeri e nella pericolosità socio-sanitaria ma è uscito dal cono di luce mediatico perché le tv più o meno in linea col pensiero unico del politicamente corretto non ne parlano più.
La Lega potrebbe anche dire: in questo modo la riduzione del numero dei parlamentari non va bene, senza riforma diventa un boomerang e la riforma che i grillini dicono di voler fare è peggio ancora. E potrebbe invitare il suo elettorato a votare No.
Potrebbe farlo Berlusconi che se ancora parlasse, qualche volta, susciterebbe forse ancora un po’ dell’antico consenso attorno alla consumata bandiera azzurra, ma non lo fa.
Il Pd, s’è visto. Di questo passo, vince il Sì. E sarà forse il canto del cigno dei grillini. O forse – povera Italia – il primo passo di una loro rimonta, per abbandono di tutti i concorrenti.