Sembra il “referendum dei pentiti” quello che si dovrebbe votare il 20 settembre sulla riduzione dei parlamentari, ridimensionando la Camera e il Senato. Ieri mattina, in una trasmissione televisiva, il senatore a vita Mario Monti, con la consueta e falsamente ponderata “aria del grande”, ha pronunciato il suo fatidico “no” alla cosiddetta riforma di Camera e Senato. Ma purtroppo è un pentimento tardivo, che rivela miopia della nuova classe dirigente italiana.



Mario Monti, il re dei governi della deflazione italiana, si allinea in fondo a una foresta di personaggi che hanno da qualche tempo ripensamenti e si rimangiano quello che hanno sostenuto e favorito per trent’anni, con l’attacco sistematico alla politica e al suo “cuore”, cioè il Parlamento, l’unico istituto che nella democrazia italiana viene eletto dal popolo attraverso i partiti e ne rappresenta la sovranità. Il contrario della democrazia diretta predicata dai “giacobini da strapazzo”, come li chiamava Anna Kuliscioff.



Questa prerogativa di voto, nell’ordinamento democratico italiano, ce l’ha solamente il Parlamento, non il Presidente del Consiglio, non quello della Repubblica e non la “troupe Palamara”, incredibile emblema del potere giurisdizionale italiano.

Quindi per far politica ci si ridurrà a votare per Comuni e Regioni, perché per trent’anni si è seminato talmente male che, nonostante i tardivi pentimenti, la vittoria del Sì, pentastellato e grillesco, sembra scontata.

I sondaggi prima del dramma del Covid assegnavano più di un 80% al Sì. Adesso, tranne che ai pasticcioni dell’attuale politica italiana, il referendum per le persone normali sembra un problema secondario e su cui non c’è stata neppure la possibilità di discutere.



Impossibile recuperare nonostante il quotidiano “cult” della sinistra, la Repubblica, abbia cambiato tardivamente il direttore e opinione, mentre la concezione di “casta” comincia a essere irrisa per i risultati che si sono visti in tutti questi anni di attuata e completata ideologia italiana, concepita nel segreto dei caveau delle banche d’affari anglo-americane, con un grande paradosso sia dai nipotini di Stalin, Breznev e Togliatti sia dai post cattocomunisti alla Franco Rodano e poi della scuola gesuitica di Palermo con simpatizzanti come il cardinal Carlo Maria Martini.

L’attacco alla politica è stato ben orchestrato fin dal crollo del Muro di Berlino, che ha sancito il fallimento del comunismo e dei suoi interpreti italiani, frastornati e inzuppati di rubli-dollari su cui si è steso un velo vergognoso. Poi dalla “stampa dei padroni”, quella degli Agnelli e dei De Benedetti, i cosiddetti capitani di sventura che Enrico Cuccia detestava con la semplice e secca battuta “ho dovuto sempre fare le nozze con i fichi secchi”; quindi dalla magistratura, che ha colto l’occasione per ampliare ancora di più il potere illimitato delle procure, unico caso nell’Occidente democratico; infine, dall’interesse dei nuovi grandi poteri finanziari internazionali che hanno già retrocesso in Serie B l’Italia nella  geopolitica economica, privandola di gran parte della sua industria e delle sue eccellenze produttive.

L’operazione attuata nei primi anni Novanta non è mai andata in porto fino in fondo, con colpi di scena da avanspettacolo: Berlusconi che batte Occhetto: Berlusconi che viene sostituito da Prodi dopo l’intervento della magistratura; Berlusconi che ritorna e poi viene silurato abbastanza “stranamente”; quindi l’arrivo di Monti, della meteora Renzi, delle comparse Letta e Gentiloni, fino all’esplosione dell’elettorato che si affida a un comico, a un ossessionato dalle invasioni dei migranti e a una fedele seguace di Giorgio Almirante.

E’ talmente sconclusionata e allucinante la storia italiana di questi ultimi trent’anni che in fondo il referendum, che riduce drasticamente deputati e senatori, è solo il risultato di una sorta di profonda indifferenza, quasi di odio per la democrazia rappresentativa e liberale sbandierata nel modo più insensato.

A parole la difendono tutti, nei fatti si muovono tutti in senso inverso. Si pensi solamente ai vari tentativi falliti che dal 1992 fino al 2006 si è cercato di fare per sostituire, con la cosiddetta Seconda Repubblica, la vecchia classe dirigente. I risultati erano talmente fallimentari sia sul piano istituzionale che su quello economico. E mentre si intravedevano i segnali della crisi finanziaria del 2008, si dovette inventare letteralmente a tavolino la “casta”, la battaglia mediatica alla “casta” mentre il comico-ideologo lanciava il suo Movimento che veniva elogiato anche dai famosi commentatori dei grandi quotidiani. Adesso vedremo se ci sarà ancora qualche pentimento dopo gli elogi di quell’epoca.

Mettiamo comunque un po’ di ordine su questa presunta riforma.

Una democrazia rappresentativa parlamentare può essere articolata in diverso modo. Una riduzione dei parlamentari ben motivata può essere anche utile.

C’è il bicameralismo perfetto italiano, ma c’è il presidenzialismo francese, la premiership anglosassone, il monocameralismo con lo svuotamento legislativo della Camera Alta. Sono sistemi validi, funzionali, adatti a differenti realtà sociali, inseriti in Costituzioni ben calibrate, studiate appositamente nella rigorosa tripartizione dei poteri e sulla centralità parlamentare, che resta comunque sovrana.

Ma nessuno dei Paesi democratici si sognerebbe di tagliare il corpo dei propri parlamentari, la rappresentatività del Parlamento sulla base di un risparmio di bilancio che per l’Italia è, secondo Carlo Cottarelli, di 57 milioni di euro e per questo vota No, mentre per Tito Boeri è di 87 milioni di euro, e ha deciso comunque di votare Sì.

È talmente mortificante la decisione di questa sedicente riforma solo per motivi economici, con vari rischi di rappresentatività, che mette in luce la pochezza di un’intera classe dirigente oltre che di un Paese frastornato dalla maggioranza media di regime e dalle acrobazie di alcuni segretari di partito come l’ultimo di Nicola Zingaretti.

Alla fine, di fronte alla inevitabilità di questo referendum, alle acrobazie tardive di leader spaesati e messi di fronte a una cruda realtà, c’è da chiedersi come uscirà la nuova rappresentatività del Parlamento italiano. Ma forse, detto in parole più chiare: questo è l’ultimo colpo, forse il decisivo, che viene sferrato contro il Parlamento, cioè contro la sovranità popolare, contro la democrazia italiana.