Non è che se qualcosa a livello giudiziario o costituzionale non “piace” a Piercamillo Davigo significa che allora è contro la legge: più o meno questo è il succo dell’intervento di Giovanni Guzzetta, costituzionalista ed esperto giurista, sul “Riformista” di oggi. Il “caso” si è acceso attorno ai 6 referendum sulla giustizia promosso da Lega e Radicali, con la raccolta firme iniziata lo scorso 2 luglio: l’ex Csm ed ex Pool Mani Pulite si è espresso in più occasioni contro le proposte di legge avanzate da Turco e Salvini, in particolar modo sulla custodia cautelare e le responsabilità civili dei magistrati.



«Nei dibattiti sulle iniziative referendarie», scrive Guzzetta, «il rischio è quello di confondere il merito politico con le questioni di legittimità giuridica della proposta». Come ovvio e giusto che sia, le opinioni politiche sui contenuti dei 6 Referendum sono ammissibili e tutte da discutere: diverso invece è lanciare “patentini” di legittimità a proposte referendarie che, in quanto tali, già hanno dovuto passare una serie di ostacoli giuridici imposti per legge. Giusto per fare un esempio, Guzzetta ben ricorda come non sia possibile approvare referendum per abrogare norme costituzionali o per intervenire su materie disciplinate dalla legge come amnistia, indulto, trattati internazionali, leggi tributarie.



REFERENDUM, ECCO PERCHÈ DAVIGO SBAGLIA

Nel caso specifico però, da più parti si sono sollevate voci contro i Referendum in quanto ne minaccerebbero l’indipendenza della magistratura garantita dalla Costituzione: serve «onestà intellettuale», spiega Guzzetta puntando il dito contro le perplessità avanzate nei giorni scorsi da Piercamillo Davigo. «Ritiene che la previsione di una azione diretta del cittadino nei confronti del singolo magistrato renderebbe il quesito inammissibile»: ebbene, spiega il costituzionalista, per Davigo «l’unica reazione possibile è quella di rivolgersi allo Stato, solo questo potrebbe poi “rivalersi” sul magistrato». Posto che sarà la Consulta eventualmente ad intervenire qualora vi siano problematiche costituzionali, Guzzetta ricorda però come i precedenti offrono indicazioni del tutto opposte a quanto “preconizzato” da Davigo: in primo luogo, la responsabilità “diretta” dei pubblici funzionari già è prevista dall’articolo 28 della Costituzione e manca qualsiasi deroga espressa negli articoli che si occupano della magistratura. In secondo luogo la Consulta già si è espressa sul referendum del 1987 sulla responsabilità civile dei magistrati: stabili con una breve sentenza che l’articolo 28 stabilisce un principio generale che rende tutti i pubblici funzionari, magistrati compresi, personalmente responsabili. Ma non solo: «in questo campo non esiste una scelta obbligata, per cui il referendum non incontrerebbe il limite di intervenire su norme a contenuto costituzionalmente vincolato così da dover essere dichiarato inammissibile». In conclusione, ribadisce Guzzetta, non è cosa buona e giusta «tirare la giacchetta del giudice costituzionale», non è «onesto intellettualmente farlo»: «per Davigo è assolutamente lecito schierarsi politicamente contro», molto meno invece se il suo schierarsi prende motivazioni (o giustificazioni) giuridiche-costituzionali.

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