Regali natalizi e bambini. Viene da mettersi le mani nei capelli in questi giorni. Il termine più usato è “costoso”, poi viene la parola “risparmio”. E lì finisce. Ora, capiamo bene una cosa: il bambino del giocattolo non se ne fa niente. Perché quello che vuole è giocare, e questo – giocattolo o no – ce la farebbe benissimo da sé. Invece il tema “regalo” è visto solo e soltanto dal punto di vista dell’adulto, con due finalità: fare bella figura (se è un parente), oppure “tenerlo buono” se è un genitore. Cioè quello che serve a noi. Ma a quello che vuole il bambino, chi ci pensa?



L’adulto pensa che giocare sia una forma di ingannare il tempo. Per il bambino no. È una cosa seria. Gli costruisce delle mappe mentali, gli fa fare i conti con le sue ansie che in qualche modo fa venire a galla (e il gioco è una metafora delle sue ansie con cui combatte), ed è uno spazio mentale in cui fa i conti con il fatto che sta crescendo e crescendo si allontana dalla mamma; e il gioco è una forma di “sostituto della mamma” per brevi momenti.



Di tutto questo non c’è traccia nell’idea di gioco che passa sui giornali, nelle spese affrettate di questi giorni e nei discorsi tra amici. Il punto di vista del bambino non interessa. E il bambino un punto di vista ce l’ha; anche quando non sa ancora parlare. Perché non sa parlare ma sa giocare.

E per giocare ha bisogno di poco; e non è questo un rimpianto pauperistico, ma un alert a non confondere al bambino le sue idee chiare. E quali sono? Cosa vuole davvero un bambino all’idea di “giocare”?

Primo: il gioco è un’attività, non una cosa. Quindi serve a lui a fare quello che lui vuole fare: smontare, aprire, mettere in bocca, rincorrere. Non c’entra con i giochi che invece dicono a lui cosa fare.



Secondo, il gioco spesso è un bocciolo di attività sociale, da fare insieme, per conoscersi, e per conoscere se stessi dal riflesso che il mio io ha sugli altri, da come rispondono alle mie mosse. Non serve per far stare il bambino in un cantuccio (dorato e costoso) e non dar fastidio. Perché si pensa che il bambino dia fastidio e noi dobbiamo annullare questa sua irrispettosa anarchia? Lo risconteremo tra qualche anno, quando non ci riconoscerà più e non ci rivolgerà la parola.

Terzo: al bambino non importa proprio niente quanto il gioco sia costoso: noi ci rimaniamo male nella misura in cui accantona in 3 minuti netti il giocattolo “status symbol”, ma così deve essere. Con una nota: purtroppo stiamo allevando i bambini a fare davvero attenzione allo status symbol, a credere di valere per quello che si può spendere e per la marca di quello che compriamo.

Allora, al momento della spesa per il regalo di Natale, mettiamoci nei panni del bambino. E soprattutto ricordiamoci (ma ce l’ha mai detto nessuno?) che l’unico regalo che il bambino vuole davvero è il nostro tempo. Che poi è anche, ohimè, l’unica cosa che davvero non siamo disposti a concedergli.

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