Duecentosessantotto (268) euro di senso di colpa! È quanto in media i genitori italiani spenderanno a Natale per i regali dei figli. Il “senso di colpa” l’ho aggiunto io, ma il conto è stato fatto da Amex Trendex di American Express card. “Senso di colpa”, perché è la motivazione inconscia ma principale per spendere, comprare, incartare e far scartare migliaia di giocattoli che i bambini di solito guardano e ignorano. È un po’ un tentativo ingenuo di farci perdonare.
T.S. Eliot, a proposito del Natale, scriveva: “lasciate che i bambini si stupiscano davanti all’albero di Natale” (dalla poesia “La coltura degli alberi di Natale”); invece per noi il motto diventa “lasciate che i bambini scartino”, che ha un doppio significato in italiano: togliere l’imballo e accantonare. E infatti succede così: è un movimento in tre tempi: stupore, apertura, delusione. Anche la più costosa Play Station è un “ciao-ciao” che gli dicono i genitori, e il bambino lo sa. Perché abbiamo un’idea del tutto strampalata (dal punto di vista dei bambini) di “regalo” e di “giocattolo”. Entrambi sono dei surrogati, dei parenti lontani, dei corollari al concetto di gioco, che invece è quello che i bambini bramano.
Già: il gioco è una manifestazione simbolica di quello che sta provando dentro di sé o che vorrebbe provare il bambino. Per Freud è un modo fondamentale per superare l’angoscia d’abbandono che i bambini hanno (anche se non ce ne accorgiamo, come ho spiegato nel mio libro “I primi 1000 giorni d’oro”). In altre parole, il gioco è un’attività mentale, prima che tecnica, e può (e deve) essere fatto con qualunque cosa il bambino voglia o abbia a portata di mano. Il bambino sa benissimo giocare senza i giocattoli che gli regaliamo noi. Anzi, spesso questi sono così avvilenti e castranti la sua fantasia e capacità di immaginazione che proprio li ignora.
Allora, se il bambino gioca tanto bene con un pallone, un sasso, una bottiglia, una corda, e ancor meglio con un gruppo di amici, i giocattoli che ci stanno a fare? Infatti sono un prodotto industriale, creato da chi deve venderli, non cercato da chi deve usarli.
Nel periodo delle feste di Natale, facciamoli pure questi benedetti regali ai figli (è tradizione!), ma teniamo bene in mente questa differenza tra gioco e giocattolo, per ricordare che quest’ultimo non ha altra utilità che quello che dicevo all’inizio: chiedere scusa.
Perché il bambino che vuole giocare, si aspetta di avere una famiglia o un genitore o un fratello che giochi con lui; non una famiglia che gli regala il regalo per farlo poi giocare da solo (tranne giocarci insieme per i cinque minuti iniziali). I bambini non vogliono i giocattoli, ma vogliono la cosa più preziosa che abbiamo, e che invece non abbiamo nessuna intenzione di dargli: il nostro tempo. Il giocattolo allora è la richiesta di perdono di non avergli dato il nostro tempo; e il modo di continuare a non darglielo.
Anche per Donald Winnicott il gioco è il modo di simboleggiare l’assenza dei genitori, e lo descriveva con l’uso che fanno tanti bambini dell’“oggetto di transizione”, cioè del peluche, della coperta, del ciuccio, con cui si consolano della temporanea mancanza della mamma. Ed è una cosa buona. Noi invece gli imponiamo una transizione infinita per un’assenza che sarà altrettanto infinita (mamma e papà spariscono risucchiati dal lavoro, e quando potrebbero stare a giocare col piccolo sono stravolti dalla stanchezza, dall’ansia, e incoscienti di quanto questi lo voglia). Ecco allora il senso di colpa inconscio, che ci porta anche a pensare che tanto più costoso sarà il regalo, tanto prima se ne andrà il senso di colpa. Insomma, il giocattolo, se costoso, è una garanzia, uno sbiancante per la tristezza di non stare con loro; che poi sconteremo negli anni. Perché non è vero che esiste un “tempo prezioso”, cioè l’alibi di aver dedicato ai figli pochi minuti, ma… “molto intensi!”. Non vale, non è così! Perché le mappe mentali del cervello dei vostri figli si formano in quanto fissano, analizzano, giudicano voi, e per farlo, questi piccoli Sherlock Holmes necessitano tempo, non pochi minuti; “niente tempo, niente mappe”! E una crescita mentale che creerà falle nell’affettività, nell’attaccamento, nella considerazione di sé.
Allora, invece di contabilizzare i 268 euro che dicevamo all’inizio, contabilizziamo 268 minuti, o meglio 268 serate da dedicare al gioco, quello vero, non quello fatto per farlo “star buono” con qualcosa che mi sostituisce, e che in fondo – a queste condizioni – non gli fa bene.
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