Che altre nazioni (Germania, Francia, e persino Austria, ad esempio) mettano più soldi in sanità di quanti ne mette il nostro Paese, al di là di cosa se ne pensi, è notizia ormai scolpita nella pietra come una sentenza passata in giudicato, vecchia e stantia si potrebbe dire dal punto di vista giornalistico (anche se di recente ci è stata ricordata dalla Corte dei Conti, sezione delle autonomie, ed è pertanto stata rilanciata dai media). Ma se non è una notizia, allora, perché parlarne? Perché quando ci sono di mezzo la sanità ed il suo (sotto)finanziamento la polemica è quasi d’obbligo per principio e c’è sempre qualche specifico motivo per qualche “botta e risposta”.



Il caso in questione nasce con lo schema di conversione in legge del decreto-legge 2 marzo 2024 n. 19 recante “Ulteriori disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR)”, con il quale sono stanziate “le risorse finanziarie necessarie a garantire la piena operatività del Piano nazionale di ripresa e resilienza, come modificato a seguito della decisione del Consiglio ECOFIN dell’8 dicembre 2023 … in relazione al maggiore fabbisogno finanziario netto derivante dalla rimodulazione del Piano medesimo”.



Inoltre è stato rimodulato e definanziato il Piano Nazionale Complementare (PNC). Nello specifico, con solo riferimento alla sanità, vengono innanzitutto definanziate per 1.200 milioni di euro attività denominate “verso un ospedale sicuro e sostenibile”.

Il provvedimento prevede che gli interventi non più realizzabili con le risorse PNRR siano finanziati dalle Regioni con risorse proprie ex “articolo 20 legge 67/88 – edilizia sanitaria”, senza prevedere risorse aggiuntive (le risorse ex art. 20 sono destinate ad interventi di edilizia sanitaria che le Regioni hanno già programmato nell’ambito dei plafond per ciascuna disponibili, anche se non risultano ancora formalmente impegnate secondo le regole vigenti). Inoltre vengono definanziate altre attività del PNC per circa 600 mln, il che porta a 1,8 mld il totale della rimodulazione delle risorse.



Da qui l’alzata di scudi concorde di tutte le Regioni che, da una parte (in sede di Commissione Salute) hanno espresso un parere nettamente contrario al provvedimento del Governo ed hanno fatto delle proposte di modifica, e dall’altra hanno richiesto un incontro urgente al ministro Schillaci con l’obiettivo di abrogare il provvedimento o di trovare in qualche altro contesto finanziario le risorse sottratte (esempio: il rifinanziamento dei Fondi ex art. 20 legge 67/88). Alle lamentele regionali ovviamente si sono aggiunte le critiche delle opposizioni.

Al di là di quello che le Regioni considerano comunque un’invasione di campo e uno sgarbo istituzionale, “Quel comma va ritirato” dice il coordinatore della Commissione Salute delle Regioni, Raffaele Donini (Emilia-Romagna), perché agisce su investimenti già in corso e su cui sono già attivi dei cantieri (per non parlare degli atti amministrativi che sono già stati fatti). A lui ha inizialmente risposto il ministro per le Politiche Ue, Raffaele Fitto, nel corso delle comunicazioni al Senato sul PNRR, dicendo che “su una parte importante di questi progetti il Governo ha compiuto una scelta molto forte e molto coraggiosa, che è quella di individuare una serie di progetti e spostarli fuori dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, prendendo l’impegno di finanziare questi progetti comunque con altre risorse”.

Nella querelle si è inserita anche la Corte dei Conti, che da una parte dice: “Oltre a ridurre l’ammontare complessivo delle risorse destinabili ad investimenti in sanità (l’aver attribuito il finanziamento del programma al Fondo ex art. 20 incide sulle disponibilità per ulteriori accordi di programma) e a incidere su programmi di investimento regionali già avviati, lo spostamento comporta il rinvio dell’attuazione del progetto a quando saranno disponibili spazi finanziari adeguati”; e dall’altra fa osservare che “le risorse non ancora utilizzate attribuite all’articolo 20 sono pari a 9,9 miliardi e che esse sono state ripartite tra le Regioni, il loro utilizzo effettivo è subordinato alla indicazione in bilancio di importi spendibili compatibilmente con gli obiettivi di finanza pubblica”. Tradotto: pur previste a legislazione vigente, tali risorse non sono già scontate nel tendenziale e quindi richiederanno apposita copertura.

Sul punto la presidente del Consiglio Giorgia Meloni alla Camera ha ricordato che “è in corso una verifica sulle risorse dell’articolo 20 per cui al momento risultano più di due miliardi ancora da programmare”, e nel frattempo, tra le richieste di modifica presentate dalla maggioranza in commissione Bilancio alla Camera, Forza Italia si è espressa negativamente sul taglio delle risorse per la messa in sicurezza degli ospedali.

Nel dibattito si sono allora inseriti i presidenti delle Regioni nel parere alla Conferenza Unificata chiedendo, nel caso non venga eliminato il definanziamento, che venga preso dal Governo un impegno formale per rifinanziare gli interventi negli anni successivi.

Da ultimo è da segnalare l’intervento di giovedì sera della Meloni, che nel corso della trasmissione di Rai Uno Cinque minuti ha detto: “I numeri non sono opinioni. Il fondo per la sanità nel 2024 arriva al massimo storico di sempre di 134 miliardi … Anche il rapporto al Pil, il Fondo Sanitario del 2024, 134 miliardi di euro con previsione a 136 nel 2026, quest’anno incide rispetto al Pil del 6,88%, anche questo è verificabile, ed è il dato più alto di sempre”.

In sintesi. Hanno ragione le Regioni quando lamentano un definanziamento della sanità di poco meno di 2 miliardi? La risposta è sì. Ha ragione la presidente Meloni quando dice che con questo governo il fondo per la sanità ha raggiunto il suo massimo storico? Anche a questa domanda la risposta è sì.

E come si accordano questi due contrastanti risultati sulla sanità? Si tratta di due conclusioni che pescano in due diversi portafogli: il primo nei fondi del PNRR, il secondo nel Fondo Sanitario Nazionale. Già, ma la somma (cioè il totale a disposizione per la sanità) quanto fa? Dipende dai 2 mld che la presidente Meloni dice di essere a disposizione nelle risorse dell’art. 20 ma che sarebbero ancora da programmare: ed è proprio quello che le Regioni chiedono, qualora il Governo decidesse di non abrogare il citato provvedimento. Se i 2 mld ci sono è pari e patta e la polemica è chiusa, altrimenti il percorso “verso un ospedale sicuro e sostenibile” si presenterà irto assai.

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