Lunedì si è chiusa nel Regno Unito la presentazione dei candidati alla successione di Theresa May a leader del Partito Conservatore e, almeno in pectore, a primo ministro. Vi sono in lizza dieci candidati, di cui quattro membri dell’attuale governo e due donne, che dovranno affrontare una procedura piuttosto complessa. È infatti prevista una serie di ballottaggi tra i candidati per arrivare a due ultimi sfidanti. I 313 deputati conservatori voteranno in quattro sedute dal 13 al 20 giugno e i due candidati rimasti saranno sottoposti dal 22 giugno al voto dei circa 160mila membri del partito. L’annuncio del vincitore dovrebbe essere dato nel giro di quattro settimane; nel frattempo Theresa May rimane primo ministro ad interim.
La competizione non interessa solamente i Tories, perché, come accennato, chi assumerà la guida del Partito Conservatore occuperà anche il posto di primo ministro, a meno di una crisi politica che porti a elezioni anticipate rispetto a quelle previste per il 2022. Le recenti elezioni per il Parlamento Europeo sono state disastrose per i conservatori e hanno visto un forte calo dei laburisti, mentre hanno segnato un rientro alla grande dei Liberal-Democratici, l’affermazione dei Verdi e la tenuta dei partiti “nazionali” come quelli scozzesi e gallesi. Tuttavia, l’elemento più sorprendente è il successo dell’appena costituito nuovo partito, Brexit, guidato da Nigel Farage, che ha conquistato 29 dei 73 seggi assegnati all’UK. I Lib-Dem sono passati da 1 a 16 seggi, il Labour, con 10 seggi, ha dimezzato la sua presenza e i Tories sono passati da 19 a 4 seggi. Questi risultati non sono certo trasferibili immediatamente a elezioni legislative nel Regno Unito ma, accanto al crollo dei due partiti maggiori, certificano la spaccatura dell’UK tra Brexiteers e Remainers.
Per il momento nella corsa alla guida del partito e al premierato il candidato più forte appare essere Boris Johnson, già sindaco di Londra per due volte e ministro degli Esteri nel governo May dal luglio 2016 al luglio 2018. Johnson, deciso sostenitore dell’uscita dall’Ue, è un personaggio molto discusso e divisivo e attualmente risulta dai sondaggi sia il più amato che il più detestato tra i politici britannici. Durante la sua recente visita a Londra, Donald Trump ha dichiarato di vederlo con gran favore alla guida del governo britannico, ma come osservato in un precedente articolo, non è detto che questo lo favorisca più che tanto. Qualche maligno potrebbe insinuare che questa preferenza derivi da una certa somiglianza fisica tra i due, che si combina con una altrettanto simile rudezza di comportamento e tendenza alle gaffe. Di più, Johnson è nato a New York e ha mantenuto la doppia cittadinanza fino al 2016.
Boris Johnson ha esplicitato due provvedimenti, che fanno molto discutere, e che dice di voler adottare da subito se nominato premier. Il primo è in linea con la sua caratura di hard Brexiteer: la promessa di non pagare all’Ue quanto da questa richiesto se le trattative con Bruxelles non porteranno a un accordo più favorevole all’UK. La cifra in questione è di circa 44 miliardi di euro.
L’altra proposta sembra mutuata dall’amico Trump: ridurre il carico fiscale a chi guadagna più di 50mila sterline l’anno, circa 57mila euro, attualmente con un’aliquota del 40%. La nuova soglia sembrerebbe posta a 80mila sterline e potrebbe interessare circa tre milioni di contribuenti, ma c’è chi fa notare che lo stipendio di Johnson è appunto di poco sotto al nuovo limite. Soprattutto, anche all’interno del suo partito, c’è chi sottolinea che sarebbe più opportuno e giusto, in una situazione economica non soddisfacente come l’attuale, andare in soccorso delle classi più disagiate, diminuendo il carico fiscale per loro e non per i più abbienti.
Non c’è da stupirsi, quindi, se Boris Johnson rimane sulla ribalta della gara in corso e viene dato per scontato che sarà uno dei due ultimi finalisti. Nei prossimi giorni l’attenzione, perciò, si sposterà sugli esiti dei ballottaggi per cercare di prevedere chi sarà lo sfidante. Con grande gioia dei bookmaker che sfrutteranno al massimo la tendenza britannica alle scommesse. Tanto più che in politica nulla è mai certo e sorprese potrebbero esserci anche in questo caso.