Tre bambine uccise a Southport, in Gran Bretagna, da un ragazzo ruandese di 17 anni che viveva da tempo nel Regno Unito. Una tragedia che ha colpito tutto il Paese, ma che ha anche scatenato la reazione violenta di alcuni gruppi di estrema destra che hanno provocato disordini a Liverpool, Bristol, Manchester e in molte altre città con scontri nelle vicinanze di moschee. Una reazione per certi versi creata ad arte, diffondendo notizie non vere sull’omicida, scambiato per musulmano prima che si chiarisse la sua identità.



Nella società britannica, spiega Claudio Martinelli, professore di diritto pubblico comparato e diritto parlamentare nell’Università di Milano-Bicocca, ci sono elementi di radicalizzazione che in questo caso hanno portato a strumentalizzare l’episodio, ma la vicenda di Southport va circoscritta, non è il segnale di un deterioramento del sistema. In una società complessa come quella inglese sono cose che possono accadere. Resta comunque da affrontare il tema dell’immigrazione: i laburisti lo vogliono fare mettendo da parte il Rwanda plan di Sunak, che prevedeva opportunità nel Paese africano per chi chiedeva asilo nel Regno Unito, puntando su politiche di inclusione, senza dimenticare di garantire la sicurezza dei cittadini: in occasione delle violenze di questi giorni sono stati arrestate 370 persone.



Nel nuovo corso laburista del Regno Unito emergono delle spinte di estrema destra come quelle evidenziate in seguito alla tragedia di Southport, come mai?

Non è affatto strano: le vittorie elettorali in generale, anche quelle molto nette, non sono di per sé un antidoto rispetto a estremismi e rigurgiti di violenza, qualche volta anche a sfondo etnico. La composizione di un parlamento, tra l’altro formatosi con una legge elettorale che punta alla costruzione di una maggioranza e di un governo, non comporta il venir meno delle spinte violente che si possono manifestare nella società. Che nella società britannica vi siano degli elementi di radicalizzazione, come in tutte quelle occidentali, è vero e prescinde totalmente dal momento elettorale.



I riots sono da ascrivere a movimenti populisti e xenofobi che secondo alcuni sarebbero rianimati dal recente successo elettorale di Nigel Farage, che per la prima volta è stato eletto ai comuni. È così?

Non ho elementi specifici su questo punto, non so che tipo di caratterizzazione abbiano queste frange e se abbiano rapporti con Reform UK di Farage. Noi diciamo che ha avuto un grande risultato elettorale perché siamo abituati a ragionare con i nostri schemi: vediamo un partito che non c’era e che ora ha preso il 14,3%. Ma ha ottenuto 5 collegi su 650, è un partito che non esiste dentro il panorama parlamentare. Nella sua azione politica Farage ha ottenuto dei risultati, basta pensare alla Brexit, ma mai dentro la dialettica parlamentare. Dire che il grande successo di Reform UK significa una radicalizzazione della società britannica è un’analisi sbagliata, perché partiti che si collocano a destra dei conservatori hanno ottenuto anche in passato percentuali ragguardevoli.

La società britannica, quindi, non si sta radicalizzando?

Quando si ragiona sulla democrazia britannica bisogna tenere separato il momento costituzionale, elettorale e di geografia parlamentare rispetto a quello che accade nella società. Questi movimenti ci sarebbero stati a prescindere dai risultati di Farage. La società britannica non si sta radicalizzando, se così fosse il partito laburista le elezioni le avrebbe vinte con Corbyn.

Il programma elettorale dei laburisti puntava a ridurre le differenze sociali che si stanno evidenziando in Gran Bretagna. Queste proteste sono la conferma anche di questo gap? E quanto conta il tema dell’immigrazione, è sempre un nervo scoperto?

In società molto complesse come le nostre, dove si agitano, appunto, anche elementi di radicalizzazione (che non vuol dire la paralizzazione del sistema politico), episodi che nei loro connotati non hanno probabilmente nulla di politico vengono strumentalizzati per una battaglia politica. Sono meccanismi che vanno messi in conto.

Ma con i migranti come si comporteranno i laburisti?

Sono anni che l’immigrazione è un tema politico centrale nel dibattito britannico. Ed è stato affrontato in maniera diversa a seconda dei cicli politici. I conservatori avevano pensato di affrontarlo con il coinvolgimento di Paesi terzi, ricorrendo al Rwanda per dare asilo a chi lo chiede in UK. Nella piattaforma laburista non c’è la sottovalutazione del fenomeno, ma una ricetta di altro tipo. Il Rwanda plan è stato bloccato e andrà nel dimenticatoio, sostituito da politiche sociali di inclusione maggiore, ma anche dalla ripresa di elementi di carattere tradizionalmente securitario che sono nel DNA del partito laburista, che non è lassista dal punto di vista della sicurezza. Starmer propone un mix di questi due elementi che esclude il rapporto con Paesi terzi. In questo senso c’è una discontinuità ma non nel senso che non si giudichi il fenomeno grave o pericoloso.

Le spinte rappresentate dalle proteste e dalle violenze di questi giorni avranno risposta dall’applicazione del programma di Starmer?

Sì. Ci sarà una discontinuità rispetto al Rwanda plan, ma questo non significa mancata attenzione al fenomeno anche dal punto di vista della sicurezza in una società che è multiculturale, multietnica e multireligiosa.

Le proteste che hanno fatto seguito alla tragedia di Southport, insomma, sono un episodio che va circoscritto?

Va circoscritto e considerato per quello che è, per la fiammata che provoca, ma non penso che possa far rivedere la società britannica nelle sue strutture fondamentali.

(Paolo Rossetti)

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