Se la Germania è un pilastro dell’Eurozona, dovremmo aspettarci che la sentenza della Corte Costituzionale tedesca del 15 novembre produca rapidamente importanti conseguenze. A cominciare dalla trattativa sul Patto di stabilità. Avverrà? Forse è presto per dirlo. Il fatto imbarazzante è che la più grande economia della zona euro aggira il freno al debito (Schuldenbremse) scritto in Costituzione e fa affidamento su fondi fuori bilancio per rispettare la norma del pareggio. Ora però è arrivato l’alt dei giudici di Karlsruhe. Di conseguenza il governo ha dovuto congelare importanti impegni di spesa su progetti verdi e di sostegno all’industria tedesca, dato che la sentenza produce un buco di bilancio di 60 miliardi di euro.



Ma se i tedeschi, paladini europei del rigore, ricorrono a questi mezzi, come possono pretendere dagli Paesi europei il rispetto dei decimali? Una domanda tutta politica che non si accontenta di risposte tecniche. Il feticismo del bilancio in pareggio ne esce a pezzi e il Governo Scholz è nel panico per l’impatto della sentenza sui bilanci federali e statali. Tuttavia non ci si può accontentare di veder saltare in aria il bombarolo per lo scoppio del suo stesso ordigno (anche se non è poca cosa), dice al Sussidiario Agustín Menendez, docente di diritto pubblico comparato e filosofia politica nell’Università Complutense di Madrid, spiegando la sentenza. Serve subito un ripensamento. E nel frattempo può davvero succedere di tutto.



Professore, che cosa ha stabilito la Corte Costituzionale tedesca con la sentenza del 15 novembre?

Ha chiarito i limiti che il famoso freno al debito (Schuldenbremse), che fa parte della Legge fondamentale tedesca dal 2009, impone al legislatore. In particolare per quello che riguarda le eccezioni o clausole di salvaguardia previste nell’art. 115 della norma costituzionale. Come è noto, il principio generale è il pareggio di bilancio, raggiunto quando il deficit non supera lo 0,35% del Pil. Ma in caso di “catastrofi naturali o di situazioni di emergenza insolite al di fuori del controllo governativo e sostanzialmente dannose per la capacità finanziaria dello Stato”, i limiti possono essere superati.



Ed è quello che ha fatto il parlamento. Ora veniamo alla decisione della Corte. 

La Corte ha prodotto una sentenza molto ponderata, nella quale in sostanza prende sul serio la riforma costituzionale del 2009 e i limiti che ne derivano per il potere legislativo in materia finanziaria. I giudici riconoscono un ampio margine di discrezionalità al legislatore nell’utilizzo del bilancio, anche per quanto riguarda la determinazione di come si devono affrontare le situazioni di emergenza. Al tempo stesso, Karlsruhe sottolinea che ci sono limiti chiari che il parlamento non può ignorare.

Quali sono?

Sono limiti congrui – dicono i giudici – con il principio democratico. Significa che oltre una certa soglia, l’indebitamento finisce per legare le mani al parlamento e al governo (par. 99, 125, 133, 139 della sentenza). In altri termini non basta invocare uno stato emergenziale perché lo sforamento sia costituzionale: in particolare, occorre dimostrare che l’emergenza è reale (par. 185 e successivi). Non solo. Occorre anche una giustificazione dettagliata e comprensibile della connessione causale fra stato di emergenza e spesa oltre il pareggio. Infine va rispettato il carattere annuale della legge di bilancio.

Cosa dice questo requisito?

Le spese straordinarie devono essere incluse in una legge finanziaria dell’anno fiscale nel quale i soldi vengono effettivamente impiegati. Non si può aggirare questo paletto trasferendo i soldi a un fondo speciale (par. 174).

Non è esattamente ciò che è avvenuto con i 60 miliardi destinati alle misure anti-Covid e trasferiti al Fondo per l’energia e il clima (Klima und Transformationsfonds, KTF)?

Esatto. Nella sentenza si discute sulla costituzionalità o meno di una legge del 2022 nella quale si destinavano fondi straordinari originariamente stanziati e parzialmente non spesi nel 2021 per mitigare le conseguenze economiche e sociali del Covid a una nuova finalità, dotando di 60 miliardi di spesa il Fondo federale per l’energia e il clima. Aggiungo che la legge era del 2022, ma le spese venivano imputate all’anno finanziario 2021.

Che cosa non va bene nel trasferimento alla nuova destinazione?

La Corte non ha nessun dubbio nel riconoscere il Covid-19 come una catastrofe naturale. Ma giudica non dimostrata la connessione causale fra Covid e cambiamento climatico, lasciando un’ombra di dubbio sulla possibilità di considerare in generale il climate change come uno stato emergenziale agli effetti dell’art. 115 della norma fondamentale tedesca. In più, trova incostituzionale la manovra contabile che permette di spendere in anni fiscali successivi soldi in carico al bilancio del 2021. Ci possono essere eccezioni all’annualità del bilancio, ma soltanto in casi eccezionali e in maniera giustificata. I giudici hanno ritenuto che non fosse questo il caso.

Ci può spiegare bene che cosa induce i politici a mettere fuori bilancio queste cifre?

Quello che la sentenza mostra è l’assurdità dell’ideologia – chiamiamola così – che ha portato a quello strano meccanismo costituzionale che è lo Schuldenbremse. È importante ricordare che fino al 2009 la norma fondamentale tedesca imponeva il pareggio di bilancio, ma permetteva l’indebitamento purché necessario per fare investimenti. A suo modo, una “golden rule”. Qui però è necessaria una piccola parentesi storica.

Prego.

Come risultato della maniera nella quale la riunificazione tedesca è stata disegnata e compiuta, ma anche della crisi finanziaria e del trasferimento delle perdite collegate a crediti in sofferenza nel tesoro pubblico, il debito tedesco era salito fortemente, superando la soglia del 80% del Pil nel 2010. Invece di riflettere sulle cause di questa tendenza, il dibattito pubblico tedesco è caduto in una sorta di minestrone ideologico i cui ingredienti sono stati neoliberismo ed ordoliberismo.

Con quali conseguenze?

Un feticismo giuridico secondo il quale bastava introdurre una regola fiscale in Costituzione e legare le mani ai parlamenti e governi futuri per far calare il debito. Il risultato è stato sì una riduzione del debito, ma con la creazione parallela di un enorme “deficit” di investimenti pubblici in Germania e la sciagurata austerità in tutta Europa.

E poi cosa è successo?

Prima o poi l’impossibilità di fare investimenti era destinata a stimolare l’ingegno dei legislatori tedeschi. La rigidità assurda della regola costituzionale ha dato luogo come logica conseguenza a complesse argomentazioni giuridiche e a trovate contabili per rendere possibili gli investimenti necessari in Germania e in Europa.

Allora quanto accaduto con la violazione del 2022 è soltanto un capitolo della saga. 

Certo. I soldi “avanzati” per fare fronte alle ricadute economiche del Covid sono stati “trasferiti” alla lotta contro il cambiamento climatico, ma lo scopo concreto è irrilevante. Il vero punto fondamentale è che una regola fiscale che rende impossibile fare investimenti diventa una camicia di forza insopportabile. Che prima o poi qualcuno tenta di aggirare. Accade quando la Costituzione si trasforma da totem in feticcio.

Vuol dire che il pareggio di bilancio inserito in Costituzione, non rispettando le esigenze della realtà, produce le condizioni politiche per il suo aggiramento, necessariamente illegittimo. 

Una norma assurda, che è anche impossibile rispettare, è destinata a quello che i giuristi chiamiamo la desuetudo. Detto questo, la sentenza è ineccepibile.

Perché?

Perché non è compito della Corte Costituzionale, ma del potere costituente tedesco modificare la Costituzione. Dobbiamo ringraziare i giudici costituzionali tedeschi perché con la loro sentenza hanno creato le condizioni per un dibattito pubblico e sereno sul freno al debito, e in generale, sulle regole fiscali. Ci hanno regalato un’opportunità per imparare degli errori precedenti.

È inevitabile puntare il dito contro i rigoristi che ricorrono a fondi fuori bilancio per rispettare le regole. Ma è anche sufficiente?

Il fatto che tanti politici e accademici tedeschi abbiano abusato di argomenti fintamente morali rende comprensibile una sorta di moralismo di ritorno; comprensibile, ma non consigliabile. Invece, insisto, dovremo ringraziare i giudici di Karlsruhe perché facendo il loro lavoro, prendendo sul serio le regole fiscali tedesche, hanno mostrato i limiti di quelle regole. Per citare Shakespeare, “Hoist with their own petard”. Al di là di questo, i cosiddetti trucchi contabili erano già noti in Mesopotamia ai tempi di Ur. E pure in Europa, quando si è deciso se gli Stati erano in regola o meno con i criteri di convergenza alla fine degli anni 90.

Adesso quali sono le conseguenze politiche per il governo tedesco del fatto di non avere più a disposizione quei 60 miliardi da destinare al green?

In primo luogo, deve decidere se rinunciare a finanziare quella spesa o, in alternativa, tagliare altre spese pubbliche o introdurre nuove tasse. Tutte decisioni impopolari per un governo in affanno. In secondo luogo, questo porta all’eventualità di dover affrontare un dibattito nel quale si metta in questione il freno al debito in quanto tale.

Per un dibattito c’è sempre tempo.

Potrebbe invece essere ineludibile. Non tanto per sapere chi in Germania voglia superare davvero il feticismo giuridico che sta alla base del Schuldenbremse, ma proprio per le ricadute europee di quest’ultimo. Nello stesso tempo, questo è importante, bisogna stare attenti a non buttare il bambino con l’acqua sporca.

Vale a dire?

L’alternativa al freno al debito non è fare debito senza limiti. Però la buona politica finanziaria dipende dalla buona politica democratica in generale. Che è impossibile senza partiti politici veri e propri. Su questo punto, la classe politica europea dovrebbe rileggersi Hermann Heller.

Secondo lei la sentenza di Karlsruhe come cambia la postura della Germania al tavolo delle trattative per il Patto di stabilità?

La sentenza mette in evidenza che neanche la Germania può vivere con una regola fiscale così stupida. L’Alta Corte ha evitato che la Germania possa usare due pesi e due misure. Aggiungo però che se la posizione di Scholz e di Lindner si è indebolita in Europa, questo ha più a che vedere con il fatto che siamo lontani dai giorni della Germania triumphans di Merkel e Schäuble. Soprattutto dopo il 24 febbraio 2022. Il prossimo libro di Emmanuel Todd si intitolerà La sconfitta dell’Occidente. Si sarebbe anche potuto intitolare il suicidio delle élites tedesche…

Una curiosità. Quali sono le leggi che legittimano la funzione – tutta politica – di un ente come la KFW (Kreditanstalt für Wiederaufbau) che consente di non contabilizzare a debito gli aiuti alle imprese da parte dello Stato? 

Va detto chiaramente che non c’è una definizione “naturale” di debito pubblico. Né in Europa né altrove. Basta fare una piccola ricerca in Internet. Le cifre del debito pubblico italiano sono diverse a seconda che si consulti Eurostat o la Banca Mondiale. Si veda quello che hanno scritto Jessica de Viegler e Daniel Mügge ne Il governo dei numeri. Ciò detto, che il debito abbia un carattere “convenzionale” non vuol dire che tutte le definizioni siano buone: ce ne sono di migliori e di peggiori. Tuttavia, spiega perché le regole di computo del debito possono essere facilmente determinate a vantaggio di chi detiene il potere politico ed economico. Mettiamola così: se la KFW fosse una istituzione greca e non tedesca, le regole sarebbero diverse.

E adesso che cosa ci attende?

Entriamo in tempi veramente interessanti. Direi anche troppo interessanti.

(Federico Ferraù)

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