Dopo la Conferenza sul futuro dell’Europa, e in un contesto di crisi e sfide senza precedenti, i deputati del Parlamento europeo hanno presentato in questi giorni una serie di proposte per modificare i trattati che regolano l’Unione Europea. A pochi mesi dalle prossime elezioni europee, l’attuale Parlamento è impegnato a rivedere i trattati con la speranza che il Parlamento stesso possa contare di più nella sua naturale dialettica con il Consiglio d’Europa. L’obiettivo delle riforme è dare più voce ai cittadini che fanno parte dell’UE, facendoli sentire a pieno titolo cittadini d’Europa.



Ma perché l’Europa rappresenti davvero una realtà concreta su cui contare, è necessario rivedere l’intero processo legislativo. La sfida dell’Europa è la competizione con altri Paesi che rendono l’UE sempre meno rilevante davanti alle grandi sfide economiche e tecnologiche, ma anche davanti agli scenari di guerra sempre più minacciosi. Le proposte fatte dal Parlamento europeo riguardano tutti i settori politici e mirano ad intensificare la collaborazione tra i Paesi membri dell’UE; contemporaneamente la Commissione Affari costituzionali di Strasburgo ha approvato la proposta di una Convenzione per la revisione dei trattati che sarà convocata dal Consiglio dopo l’appuntamento elettorale del prossimo 6-9 giugno.



La modifica dei trattati ovviamente non è fine a sé stessa, ma rappresenta un tentativo di migliorare l’Unione rafforzandone la capacità di azione, la legittimità democratica e la responsabilità. Una riforma che dovrebbe aiutare l’UE a raccogliere le sfide geopolitiche e prepararsi all’allargamento.

Sorprendono comunque i risultati delle votazioni, dal momento che la relazione è stata approvata con 305 voti favorevoli, 276 contrari e 29 astensioni, mentre la risoluzione che l’accompagna è stata approvata con 291 voti favorevoli, 274 contrari e 44 astensioni. Se si tiene conto delle astensioni è facile rendersi conto di come i risultati abbiano una loro intrinseca fragilità, che meriterà di essere approfondita su molteplici piani.



Gli attuali parlamentari europei chiedono il miglioramento del sistema bicamerale, per evitare situazioni di stallo, e un pieno diritto di iniziativa legislativa. Propongono una revisione delle norme sulla composizione della Commissione, rinominata “esecutivo europeo”, chiedono che il Presidente della Commissione sia nominato dal Parlamento e approvato dal Consiglio, contrariamente a quanto avviene oggi. Al Parlamento spetterebbe quindi il diritto di nominare il Presidente, che andrebbe poi confermato dal Consiglio. Chiedono che sia lui a scegliere i propri Commissari e che abbia la possibilità di presentare una mozione di censura sui singoli Commissari. Propongono in definitiva la creazione di meccanismi di partecipazione più adeguati e il rafforzamento del ruolo dei partiti politici europei, per dare più voce ai cittadini.

Sono norme di grande respiro politico, con una forte impronta tecnico-normativa, necessaria per rendere più agile ed efficace il lavoro parlamentare.

Ma ci sono alcuni passaggi che lasciano fortemente perplessi.

I deputati propongono di rendere alcune competenze, attualmente di spettanza esclusiva degli Stati membri, di competenza condivisa; tra queste la salute pubblica, con particolare riferimento alla salute sessuale e riproduttiva con i relativi diritti.

Su questo punto è stato presentato l’emendamento 84, che non è stato possibile analizzare in dettaglio, ma che con tutta probabilità fa riferimento alla Risoluzione sulla “Situazione della salute sessuale e riproduttiva e relativi diritti nell’UE, nel quadro della salute delle donne” approvata dal Parlamento Europeo il 24 giugno 2021. In quella risoluzione c’erano alcune proposte, come quella di garantire l’accesso universale ai servizi di salute sessuale e riproduttiva, inclusa la contraccezione, l’aborto sicuro e legale, la diagnosi e il trattamento delle malattie sessualmente trasmissibili e la prevenzione e il trattamento delle complicanze legate alla gravidanza e al parto. Oltre a promuovere l’educazione sessuale e relazionale, combattere la violenza sessuale e di genere, di cui fanno parte le mutilazioni genitali femminili, e garantire l’accesso a servizi di assistenza sanitaria, psicologica e giuridica per le vittime.

In attesa di leggere le conclusioni a cui giungerà il Parlamento europeo  appare evidente come attraverso la revisione dei trattati, accanto a decisioni che coinvolgono l’intera struttura organizzativa dell’UE, ci siano riferimenti ai cosiddetti nuovi diritti, legati alla salute sessuale e riproduttiva delle donne, in cui si mescolano aspetti condivisibili come l’accesso ai servizi sanitari, il No alla violenza, comprese le mutilazioni genitali femminili, con altri temi e problemi che, per la loro delicatezza e per la loro rilevanza sul piano etico e bioetico, meriterebbero un approccio decisamente diverso. E non andrebbero in nessun modo mescolati con le modalità di elezione del Presidente della Commissione e dei vari Commissari o con i meccanismi della maggioranza di voto, per un superamento dell’unanimità.

Non basta una semplice operazione di tipo lessicale, con cui si cambia il nome delle cose, ma non la loro sostanza, per introdurre attraverso la riforma dei trattati temi che chiamano in causa la libertà delle coscienze e la responsabilità personale e su cui da decenni è in atto un dibattito molto acceso. È una operazione semanticamente scorretta, ambigua, che non faciliterà certamente il clima del prossimo Parlamento europeo e i suoi rapporti con la Commissione, ma neppure i rapporti con gli Stati membri.

Dunque si modifichino pure i trattati se si cerca una maggiore rappresentatività dei Paesi e un maggiore spazio da dare alla voce dei cittadini europei, ma se ne rispettino le coscienze, la libertà e l’autonomia. Non si dimentichino neppure le famose radici cristiane, rimosse dalla Costituzione europea, mentre proprio in questa occasione potrebbero tornare a far sentire la loro voce.

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