Mancava ancora un ultimo tassello per completare la dolorosa storia dietro la morte di Gunther Messner, morto nel 1970 a soli 24 anni, travolto da una valanga mentre scendeva dal Nanga Parbat, in Pakistan, a oltre 8120 metri. Quel tassello fino ad oggi mancante, è rappresentato dalla scarpa del giovane restituita dal ghiacciaio Diamir solo 52 anni dopo. L’immagine è stata pubblicata dal fratello, l’alpinista Reinhold. C’era anche lui il giorno in cui la valanga killer travolse ed uccise il fratello. Entrambi furono dati per dispersi, poi per morti. Reinhold tornò dopo diversi giorni e fu sottoposto ad un intervento per l’amputazione parziale delle dita dei piedi . “Quella tragedia rimane, così come rimane Gunther”, ha scritto il ‘Re degli Ottomila’ sui social.



I resti del fratello furono recuperati solo nel 2005 e adesso spunta anche il secondo scarpone. In una intervista al Corriere della Sera, Reinhold Messner ha spiegato il suo stato d’animo: “Sono in pace con me stesso, anche se quell’incidente ha cambiato la mia vita. Di certo, c’è un’altra prova del fatto che io non ho abbandonato Günther. Anche questa scarpa è stata trovata nella zona dove io avevo indicato il punto preciso della sua scomparsa”.



Reinhold Messner, la morte di suo fratello Gunther e le infamanti accuse

In passato qualcuno accusò Reinhold Messner di aver abbandonato il fratello Gunther: “Ho anche vinto dei processi, se è per questo. Poi, nel 2005, accadde che i resti vennero ritrovati sul versante che io ho sempre indicato come il luogo dove l’ho visto sparire”, ha dichiarato l’alpinista. A suo dire, il ritrovamento della seconda scarpa rappresenterebbe una ulteriore prova della sua verità, “perchè non può che essere di Gunther”, ha spiegato. La sua convinzione deriva dal fatto che quella scarpa fu realizzata in edizione limitata proprio per quella spedizione, quindi create appositamente per loro con dei materiali inediti e riconoscibili. La prima scarpa si trova attualmente nel museo della montagna che porta il nome di Reinhold.



Nonostante tale ritrovamento abbia confermato quanto sostenuto per oltre mezzo secolo da Messner, l’uomo non si sente sollevato: “Quell’episodio mi ha segnato”, spiega, “non solo per la perdita di una persona molto cara, ma anche per la bassezza delle accuse che mi sono state mosse”. Accuse infamanti secondo le quali l’alpinista avrebbe lasciato morire il fratello “sacrificandolo alla mia ambizione”. Infine, Messner ha voluto ricordare Gunther a partire dalle loro prime scalate negli anni Sessanta: “A volte io vado tra le mie montagne solo per vederle com’erano, e ad accompagnarmi è il ricordo di mio fratello ragazzo, perché di lui ho solo questo ricordo giovane. Oggi, da vecchio, cerco spesso questo tempo fermo nel cuore”.