Il nostro è un lavoro bellissimo, non certo perché si diventa ricchi, ma perché il desiderio che leggi negli occhi di chi ti chiede aiuto e la bellezza di aiutare il riscatto umano che deriva dal lavoro e dall’autonomia personale è ciò che ti fa andare avanti nonostante la fatica grande.
Sono moltissime le persone in condizioni di vulnerabilità che non vogliono cedere alla “assistenza cronica di Stato” ma desiderano essere liberi.
Donne, uomini, madri sole, padri soli, giovani con vite disordinate, disoccupati da molto tempo con un passato ingombrante, immigrati, rifugiati politici, ex carcerati. Ecco allora ci si chiede quanto valore abbia il lavoro di chi si occupa davvero di questo spaccato reale delle nostre comunità sia in termini umani, in quanto si aiutano persone a recuperare la propria dignità, sia in termini economici, in quanto vengono rimessi nel circuito economico del Paese tanti cittadini e cittadine che pagheranno le tasse e che non peseranno più sulla spesa pubblica.
Ma quanto importa davvero questo? In molti casi molto poco, meglio avere dei sudditi che votano chi eroga loro dei sussidi. Ma noi non ci rassegniamo perché amiamo il nostro lavoro, le persone e soprattutto teniamo alla loro dignità.
Cosa fa scattare davvero il desiderio di rimettersi in gioco a chi arriva nel tuo ufficio o ti fa una telefonata? L’incontro con una persona che ti guarda, che vuole capire, che ti ascolta, che ti dedica del tempo e che non ha fretta. La fretta è un brutto male perché se “perdi” la persona in quel momento lì è difficile che tu la possa recuperare. La maggior parte delle volte i racconti sono come fiumi in piena e tu devi provare a cogliere qualche appiglio per capire cos’è meglio per quella persona lì, cioè che cosa farebbe il suo bene. Guardare, ascoltare e superare ogni pregiudizio, e non sono proprio operazioni di poco conto.
Chi si presenta davanti a te è una persona che porta lì la sua vita, la sua storia, i suoi problemi, le sue cadute, le sofferenze, ma anche le sue gioie e soprattutto la speranza. Tutto. E allora tu ti senti addosso una responsabilità grande perché spesso queste persone camminano su un crinale pericoloso, ti mettono in mano la propria vita come se fosse l’ultima chance.
E allora quello che cambia la prospettiva è proprio questa roba qui, cioè l’incontro con te operatore che diventi in quel momento lì la possibilità di riscatto, la possibilità di uscire da una condizione di umiliazione e di poter sperare ancora. Se manca lo sguardo e la capacità di leggere in spessore chi hai davanti qualsiasi percorso è inutile perché preconfezionato freddamente senza tenere conto dell’unicità della persona che hai davanti.
Occuparsi quindi di formazione per adulti e di successivo reinserimento lavorativo comporta un impegno multidimensionale che va ben oltre l’erogazione di un corso e un piano successivo di reinserimento lavorativo, va ben oltre.
“Cara dovrebbe esercitarsi a parlare di più l’italiano… fa un po’ di fatica”. “Dottoressa, io vivo con una figlia sordomuta e il figlio di mia figlia, un piccolino di due anni e devo e voglio pensare a loro. Io ho 53 anni, ma non ci sono per me, ma per loro. In casa praticamente non parliamo. Ho bisogno di rimettermi a studiare perché ho bisogno di un lavoro dignitoso”.
Questa è una delle centinaia di storie che vi potrei raccontare e qualcuno mi potrebbe anche replicare che noi non abbiamo la funzione dell’assistente sociale e io rispondo: certo che non l’abbiamo, ma senza questo sguardo, senza la capacità di leggere i bisogni complessi della persona, nessun percorso è possibile.
E allora se veramente crediamo che quella persona abbia davvero la possibilità di rimettersi in gioco e iniziare un percorso non facile, non possiamo lavarcene le mani non prendendoci sulle spalle un pezzo significativo di responsabilità e di fatica.
Le storie evidenziano una serie di problematiche legate a tanti fattori come i sistemi dei servizi alla persona, la casa, i servizi per l’infanzia, la mobilità, i costi della vita e dei servizi, i problemi dei figli, la disoccupazione dei mariti o dei compagni, la violenza domestica, gli stereotipi culturali, la precarietà del reddito, la solitudine di molte donne, ma anche di alcuni uomini nella crescita dei figli, la mancanza di una rete familiare, l’assenza di titoli di studio adeguati per molti immigrati e la fatica a recuperarne le dichiarazioni di valore, il lavoro in nero, la paura di non farcela proprio per la presenza di fattori che possono interagire molto negativamente durante il percorso formativo anche in presenza di fortissimo desiderio di farcela.
E allora qual è il nostro compito? È quello di rafforzare le nostre competenze in tema di servizi, di legislazione, per poter essere in grado di informare correttamente le persone sulle eventuali risposte che i servizi di welfare territoriale mettono a disposizione, è quello dell’intervento in prima persona molte volte, è quello della relazione costante con la rete territoriale, è quello della condivisione delle responsabilità con ogni stakeholder utile al processo di empowerment. Perché è questo a cui deve tendere un buon servizio, a riportare una persona a camminare da sola, con le sue competenze e il suo lavoro riconquistando la consapevolezza del proprio valore umano e questa, a volte, è una fatica tremenda.
Capita spesso che alcuni perdano la fiducia a percorso avviato e quasi sempre ciò è determinato dall’impossibilità di conciliare il percorso formativo con gli accadimenti e la situazione personale. E allora il tuo ruolo diventa ancora più faticoso perché oltre a riprovare a rimuovere in parte le difficoltà “esterne” devi lavorare sulla persona. E questo richiede un tempo e uno sforzo che non è calcolabile in termini economici e tu operatore vai davvero oltre il ruolo che hai e in quel frangente troppe cose si mettono in gioco perché se tu in quel momento non hai la forza e le tue energie sono deboli, il rischio di perdere la persona è alto.
Ecco perché è necessario monitorare sempre il proprio benessere interiore, curare noi stessi, perché se perdiamo di vista noi stessi è quasi impossibile prendersi cura di qualcuno.
Ogni tanto è cosa molto utile trovare colleghi e amici per provare a dare un giudizio sulla fatica di lavorare con le persone e ricordarci le ragioni del nostro impegno nel Terzo settore che troppo spesso non ha ancora in questo Paese il riconoscimento che merita.
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