Qualche giorno fa il filosofo Remi Brague ha tenuto una lunga lectio magistralis davanti alla Fondazione Neos di Madrid ragionando sulle ragioni che hanno portato a questo sempre più diffuso odio che l’uomo occidentale lascia trasparire in ogni suo comportamento e – soprattutto – sulle distruttive conseguenze che un simile atteggiamento potrebbe avere sul lungo periodo; il tutto riflettendo anche sulle possibili soluzioni che per Remi Brague – ma ci arriveremo tra qualche riga – sono una ed una soltanto: recuperare la lezione del passato, farne tesoro e imparare a convivere con i ‘demoni’ di errori commessi da altri prima di noi.



Senza anticipare troppo sulla conclusione del ragionamento di Remi Brague, vale la pena partire (ovviamente) dall’inizio del lungo percorso nel quale il filosofo traccia le fondamentali tappe dell’odio occidentale: la prima è la percezione dell’intera storia occidentale come di “una serie di crimini” che vanno dimenticati e cancellati alimentando una vera e propria “ondata di distruzioni” che si concretizza con l’eliminazione delle statue di personaggi scomodi; la seconda – secondo il filosofo – è il chiaro “odio verso il cristianesimo” nutrito “dalle élite occidentali” e che si concretizza con la volontà di “estinguere la Chiesa e la religione” alimentando nuovamente “l’ondata di distruzioni”; il tutto condito con la chiara delegittimazione “dell’uomo” visto come “l’animale più pericoloso [che] invade l’intero pianeta e lo sottomette”.



Tutti aspetti che pur essendo differenti tra loro secondo Remi Brague “sono convergenti e hanno un unico punto focale: l’odio verso se stessi” che nel caso dell’uomo è “indiretto” perché quelle già citate élite occidentale “odiano tutto ciò che viene da fuori e che le determina” citando nel suo ragionamento tanto aspetti come “i genitori e l’ambiente sociale”, quanto “il paese con la sua lingua, la sua cultura e la sua storia”; senza dimenticare “il sesso o l’età, fino al fatto fondamentale di appartenere alla specie umana”.



Remi Brague: “Solo recuperando la fede possiamo evitare l’autodistruzione”

Un odio che secondo Remi Brague altro non è che “una manifestazione di invidia” dovuta al pensiero sempre più diffuso che “gli esseri viventi sono il risultato di un concorso fortuito di forze cieche” come per esempio “il caso e la necessità” alimentando ancora una volta “il desiderio che il genere umano si estingua”: entrando nel merito della sua affermazione – infatti – il filosofo chiarisce che “l’invidia costituisce una forma di odio, e l’odio cerca la distruzione di ciò che odia“, ma è al contempo innegabile che le élite non hanno alcun interesse nell’autodistruggersi con la conseguenza che quell’odio si trasmette “al paese in cui vive, alla civiltà che gli ha portato i suoi tesori morali e culturali o, in un orizzonte lontano, all’estinzione della specie umana”.

“Senza un punto di riferimento esterno – continua Remi Brague -, l’uomo non può dire di valere più di uno scoiattolo o di una lumaca” e senza un timone l’uomo non fa altro che “perdere (..) tutta la volontà di difendersi dalle sfide [perché] se il nostro modo di vivere, e perfino tutta la vita umana, è priva di legittimità, radicalmente viziosa, l’unica misura logica da prendere è lasciarla scomparire”; ma è proprio in questo ragionamento che subentra l’antidoto all’odio che Remi Brague individua nella necessità di “recuperare una visione positiva di ciò che ci costituisce e accettarlo con gratitudine” recuperando insomma “la fede in un amore provvidenziale [e] nella creazione” che ritiene essere “il fondamento della nostra esistenza”.