Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Pavia ha recentemente rilasciato un’intervista per il Corriere della Sera nella quale ha affrontato la questione dell’inchiesta sul covid e della sanità italiana in crisi. Iniziando dall’inchiesta sostiene di non voler entrare nel merito delle notizie, spiegando però che “a febbraio 2020 eravamo totalmente impreparati come Paese, ma chiediamoci perché”.
“Più che addossare la responsabilità a questo o a quello nella gestione di momenti drammatici”, spiega ancora Remuzzi, “che chiunque avrebbe avuto problemi ad affrontare con lucidità, non dimentichiamo che negli ultimi trent’anni si è provato in tutti i modi a smantellare il Servizio sanitario nazionale“. Secondo il ricercatore, infatti, il modello lombardo tanto decantato “era basato sulla logica del mercato, libera scelta e competizione: tutto il contrario di quello che serve in sanità. Quella logica ha contaminato anche gli ospedali pubblici: se paghi vieni assistito subito, sennò aspetti mesi o anche anni”. Secondo Remuzzi, infatti, nella gestione del covid non ci sarebbe nulla da recriminare “ci siamo trovati con un virus contagiosissimo, pazienti che arrivavano in ospedale uno dopo l’altro, senza una medicina territoriale in condizioni di fare da filtro”.
Remuzzi: “Il piano pandemico non sarebbe servito”
Nel suo intervento Giuseppe Remuzzi ha anche, poi, parlato del piano pandemico, anch’esso al centro dell’inchiesta sul covid. “Era riferito all’influenza e non si applica al Covid. Non prevede per esempio il distanziamento, né l’istituzione di aree rosse. È necessario un nuovo piano pandemico, ma non basta scriverlo: servono formazione e conoscenze”. Per i politici, spiega, “ascoltare gli scienziati è importantissimo” in questo contesto, “ma poi decidere tenendo conto di molti altri aspetti che non hanno necessariamente a che fare con la scienza”.
Davanti ad una nuova pandemia Remuzzi crede che potremmo trovarci di nuovo impreparati, “persino in una situazione peggiore. Abbiamo meno medici, meno infermieri, che sono sempre più stanchi e meno motivati”. Ora, per salvare la sanità in vista di futuri problemi, ma anche della gestione della sanità pubblica normale, “basterebbe implementare il Pnrr, che nella missione 6 dice per filo e per segno tutto quello che si dovrebbe fare: reti di prossimità, strutture e telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale, con Case della comunità in cui operano equipe multidisciplinari e assistenza domiciliare integrata (‘casa come primo luogo di cura’)”. Ma secondo Remuzzi, “ancora più importante è evitare che il dramma si ripeta: non possiamo permetterci altri morti“.