Tra le idee più radicali dell’Istituto Mario Negri di Bergamo c’è la scelta di opporsi ai brevetti sui farmaci, ma è anche la più criticata. Il professor Giuseppe Remuzzi la rivendica: «Non brevettiamo le nostre ricerche perché vogliamo mettere a disposizione del pubblico il prima possibile tutte le conoscenze che otteniamo. Se brevetti, invece, ci vogliono anni prima che tu possa pubblicare le scoperte sulle riviste specializzate». Ne parla al Corriere della Sera, nel giorno in cui è stata annunciata la Medaglia di Edimburgo per l’istituto che dirige dal 2000. Si tratta di uno dei premi più prestigiosi al mondo a livello scientifico, assegnato per la prima volta non a una persona, ma a un’istituzione che opera nel settore della ricerca medica, per il contributo alla comprensione e al benessere dell’umanità. Di fatto, è stata premiata l’idea di Silvio Garattini, finanziata poi dal gioielliere filantropo Mario Negri.
«Volevano creare qualcosa che in Italia ancora non esisteva. Una fondazione privata al servizio del pubblico interesse, che condividesse in maniera aperta le sue ricerche con industria medica e governi, ma al tempo stesso rimanendo indipendente. Noi abbiamo continuato ad applicare questa visione, e siamo orgogliosi del fatto che sia proprio questa la ragione principale del riconoscimento», racconta Remuzzi. La visione dell’Istituto Mario Negri è diversa dalla medicina di oggi, in cui dominano profitto e protezionismo, «nonostante gran parte delle ricerche siano basate sui fondi di coloro che pagano le tasse». Invece, Garattini e chi ha lavorato con lui «scelsero di operare per una politica dei farmaci non basata sul ritorno economico, al fine di impedire che diventassero beni di lusso per persone facoltose», aggiunge il direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS.
“RITORNI ECONOMICI PER L’INDUSTRIA FARMACEUTICA NON DEVONO ESSERE SPROPOSITATI”
La strategia dell’Istituto Mario Negri di Bergamo è chiara: «Noi non sintetizziamo farmaci. Noi facciamo ricerca sui farmaci. E i risultati li mettiamo a disposizione di tutti», ha dichiarato il professor Giuseppe Remuzzi al Corriere della Sera. L’idea è che la circolazione delle idee può salvare vite, e la pandemia Covid ne è la prova. «Proprio lo spirito di collaborazione dovuto a quel che stava accadendo, ha consentito di fare fronte a una emergenza inedita ed enorme. In quei due anni sono state pubblicate cose buone e altre meno buone. Ma tutti mettevano a disposizione tutto. In quel momento lì nessuno pensava ai brevetti. Dovrebbe essere sempre così». L’errore sta nelle montagne di soldi guadagnate dalle case farmaceutiche che hanno scoperto e brevettato i vaccini proprio grazie alla circolazione delle idee: «I governi hanno messo a disposizione cifre enormi a fondo perduto dicendo alle compagnie più importanti di provarci. Chi ce l’ha fatta, ora fa profitti sproporzionati. Uno dei problemi che il Mario Negri ha sempre dibattuto è proprio il prezzo delle medicine. L’industria farmaceutica deve avere un ritorno adeguato rispetto agli investimenti, ma non dovrebbe mai essere spropositato».
Si può fare molto anche senza brevettare, aggiunge Remuzzi, che fa due esempi: uno studio dell’Istituto Mario Negri degli Anni 80 permise di ridurre la mortalità dell’infarto al miocardio, salvando milioni di vite; nei primi anni del Duemila aiutarono a sviluppare un nuovo farmaco contro una malattia rara dei bambini che comportava morte o dialisi in sei anni. Nessuno sospetta dell’Istituto Mario Negri per la sua strategia, che invece suscita perplessità per la troppa indipendenza. «A noi interessa la conoscenza nell’interesse degli ammalati, nient’altro». Infatti, il direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS ricorda che la settimana scorsa è stato presentato uno studio sul diabete, che propone nuove cure: «Lo daremo a tutti, come sempre».