Ora dobbiamo proteggerci dal Covid con i vaccini, ma un giorno potremo guarire a casa. Ne è sicuro il professor Giuseppe Remuzzi, direttore scientifico dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, il quale nell’intervista rilasciata al Fatto Quotidiano ha ribadito che «vaccinarsi è l’unico modo per essere davvero protetti», ma d’altra parte «non c’è solo il vaccino». Visto che ci sono persone per le quali i vaccini non inducono una risposta adeguata, è importante lavorare a nuovi farmaci antivirali. Per ora è ancora troppo presto per inserirli nelle linee guida per il trattamento del Covid, in quanto servono studi controllati con grandi numeri di pazienti, ma in futuro «sarà di nuovo il protagonista delle cure e molti potranno guarire a casa senza bisogno dell’ospedale e della rianimazione». Ha fatto quindi il punto della situazione, spiegando che buone notizie stanno arrivando dal Molnupiravir, che si può assumere per bocca ed è stato studiato negli Stati Uniti.



«Aveva un’impressionante riduzione della carica virale al giorno 3. E al giorno 5 nessuno dei partecipanti che aveva ricevuto Molnupiravir aveva più virus nelle sue vie respiratorie», ha dichiarato il professor Remuzzi. Da un altro studio è emerso che riduce anche la capacità del coronavirus di replicarsi, almeno negli animali. Per questo ora è sperimentato nell’uomo.



I FARMACI ANTIVIRALI IN ARRIVO

Effetto simile produce AT-527 della Roche, «al punto che dopo 2 giorni di somministrazione i pazienti che ricevevano questo farmaco avevano un 80% di riduzione della carica virale rispetto al placebo», ha dichiarato Giuseppe Remuzzi al Fatto Quotidiano. Gli studi sono stati ripetuti e hanno prodotto risultati identici, quindi si è passati alla fase 3. Anche Pfizer sta lavorando ad un antivirale, PF-07321332, pensato come potenziale terapie per bocca che può essere prescritta ai primi segni di infezione. «Ha dimostrato di essere efficace e sicuro per il trattamento di adulti ammalati di Covid non ancora ospedalizzati ma a rischio di sviluppare una malattia severa». Tutti questi farmaci si sono dimostrati sicuri, ma le sperimentazioni non sono ancora concluse. Per il nafamostat mesilato è in corso un trial clinico approvato dall’Istituto superiore di sanità. «Sarebbe capace di inibire l’infezione da Sars-CoV-2 nelle cellule polmonari, per lo meno in laboratorio». Gli studi sono ancora nelle fasi iniziali, ma i risultati preliminari sono controversi: «Qualcuno sostiene che questo farmaco possa avere effetti collaterali importanti a livello del sistema nervoso centrale». Fa discutere ancor di più l’Ivermectina, per il quale ci sono almeno 20 studi. «Le evidenze a supporto di una sua potenziale efficacia sono abbastanza incoraggianti». Remuzzi invita ad attendere i risultati della ricerca di Zeno Bisoffi e dei collaboratori dell’ospedale Negrar di Verona, in quanto è quella migliore.



“TRATTARE PRECOCEMENTE PAZIENTI A CASA”

Se c’è un aspetto che è stato trascurato per Giuseppe Remuzzi è il trattamento rapido dei pazienti, che andrebbero curati subito, ai primi sintomi, anche prima dell’esito del tampone. «Ci sono vari approcci, si possono utilizzare antinfiammatori». Dal lavoro della dottoressa Elena Consolaro e di altre quattro colleghe di Varese, impegnate nelle visite domiciliari e nelle cure precoci in collaborazione col professor Suter e i ricercatori dell’Istituto Mario Negri è nato uno studio che dimostra in maniera convincente che usare precocemente nimesulide o celecoxib (o aspirina, se c’è intolleranza a quei due farmaci) «riduce la necessità di ricorrere all’ospedale del 90%». Il professor Remuzzi ha citato poi uno studio di Oxford che ha ottenuto risultati simili per un preparato per l’asma che contiene Budesonide, un cortisonico. Usandolo entro 7 giorni dall’inizio dei sintomi si registra una riduzione dell’80% della necessità di ricorrere all’ospedale. Remuzzi ha chiarito che ogni medico può riferirsi alla letteratura medica per trattare i suoi pazienti, ma perché un farmaco diventi oggetto di linee guida da parte dell’Aifa servono studi controllati con grandi numeri di pazienti, e non ne basta uno solo. «Completare il ciclo con le due dosi è l’unico modo per essere davvero protetti, ma non c’è solo il vaccino», ha ribadito Remuzzi.