«Gli statali hanno un piano: non tornare più in ufficio»: come sempre “azzardato” il titolo in prima pagina di Libero, quest’oggi rileva uno studio compiuto da Fpa (società del gruppo Digital360) in merito al periodo di smart working della Pubblica Amministrazione durante l’emergenza Covid-19. Ebbene, si evince che 9 dipendenti PA su 10 vorrebbero proseguire il “lavoro agile” anche una volta conclusa l’emergenza sanitaria e ritornata la normalità: un passo avanti verso un futuro più “smart”? Un risparmio per i cittadini? Ecco, non è tutto oro quello che luccica e Renato Farina prova a sottolinearlo con la consueta arguzia argomentativa: «Altro che crisi, i dipendenti pubblici in quarantena stavano benissimo. Secondo un sondaggio il 93% vorrebbe continuare a lavorare da casa, dove nessuno può controllare l’attività…».

Nell’attacco del suo pezzo polemista, l’editorialista di Libero e del Sussidiario.net sferza così il dipendente pubblico “medio”: «stiamo per assistere ad un salto nell’evoluzione della specie “homo statalis” che incanterebbe sicuramente Darwin. Sta infatti prendendo solida forma l’anello mancante che congiurerebbe i ministeriali alle schiere angeliche e forse anche più su». Secondo Farina con questi risultati sui dipendenti PA si “certifica” una polemica antica come il mondo: «spesso gli statali non sono come noi…» e poco più avanti ancora con frecciata sardonica «nel Dna hanno un duro leggo della seggiola o l’appiccicosa similpelle del sedile dalle parti morbide naturalmente proteste al riposto».

I DATI SULLO SMART WORKING NELLA PA

Quello che Farina chiama ironicamente «il diritto a stare in ciabatte e mutande a casa» con l’ipotesi che lo smart working possa rimanere anche dopo l’emergenza coronavirus nella Pubblica Amministrazione potrebbe affermarsi stabilmente: premettendo che vi sono centinaia di migliaia di lavoratori seri e che danno l’anima nel proprio lavoro, anche durante la pandemia Covid-19, l’impressione che avanza Farina su questi risultati clamorosi (il 93,6% vuole rimanere a casa anche dopo l’emergenza, l’88% dei dipendenti giudica l’esperienza di successo) è che vi sia la possibilità che stare a casa sia uguale a lavorare meno. Gli impiegati «affezionati al divano» li chiama il giornalista di Libero citando ancora i numeri dello studio Fpa: «Lo smart working ha permesso inoltre al 69,5% del personale della Pa di organizzare e programmare meglio il proprio lavoro, al 45,7% di avere più tempo per sé e per la propria famiglia, al 34,9% di lavorare in un clima di maggior fiducia e responsabilizzazione», spiega lo stesso studio citato nel pezzo di Farina.

In 7 casi su 10 è stata così assicurata la continuità del lavoro e per il 41,3% di questi 4mila dipendenti PA intervistati, addirittura è migliorata l’efficacia produttiva. «L’emergenza Covid19 ha portato un’adozione massiva e rapida dello smart working nella Pa, che può essere il punto di partenza per ridisegnare il futuro del lavoro pubblico le amministrazioni che già stavano sperimentando il lavoro agile hanno saputo reagire meglio all’emergenza, riuscendo a mettere in poco tempo in smart working tutti i dipendenti e superando le difficoltà, tecnologiche e organizzative, causate inevitabilmente da questa introduzione forzata», commenta Gianni Dominici, direttore generale di Fpa. Non tutti saranno stati “impiegati da divano” ovviamente e l’iperbole usata da Farina è forse esagerata, eppure a riconoscere come sappiamo tutti certi “vizi” della Pubblica Amministrazione, immaginarli tutti in “home working” potrebbe far avanzare quale legittimo “sospetto” sulla completa efficacia produttiva di tale categoria.