Per un appassionato di film di Renato Pozzetto come me, il suo libro uscito da poche settimane, “Ne uccide più la gola che la sciarpa. La mia storia”, edito da Rizzoli, rappresentava un acquisto irrinunciabile.
Dopo qualche capitolo mi sono trovato un po’ “spaesato”: più che a un’autobiografia mi sembrava di essere di fronte a un elenco di aneddoti. Finché non ho riletto con più attenzione l’intervista che Pozzetto aveva rilasciato al Corriere della Sera e che mi aveva spinto a comprare il libro. Spiegava, infatti: “Ho accolto il suggerimento di alcuni amici. Durante i nostri incontri, capita di condividere ricordi, aneddoti, storie divertenti oppure, dopo qualche bicchiere, di cantare vecchie canzoni. In molti mi hanno spinto: Renato, perché non scrivi un libro? A un bel momento, mi sono messo sotto”.
Tutto chiaro. In effetti, leggendo il libro, sembra quasi di sentire Pozzetto che racconta di “quella volta che…”. E compaiono così altri volti noti della comicità milanese, oltre a Cochi Ponzoni naturalmente: la compagnia del Derby, Massimo Boldi, Enzo Jannacci, il Dogui (Guido Nicheli), Diego Abatantuono…
Proseguendo la lettura emergono molte storie legate al lavoro di Pozzetto o alle sue passioni, dalle auto, alle barche e agli elicotteri, alle mangiate e bevute in compagnia, fino alle donne. Oltre ai tanti colleghi citati (qualcuno con meno “simpatia” di altri), si trovano nomi che non si penserebbero accostabili a Pozzetto, come i piloti di Formula 1 Clay Regazzoni e Riccardo Patrese, o la famiglia Moratti.
Nel racconto dei ricordi di gioventù di Pozzetto mi ha colpito la descrizione di una Milano in fermento di idee, più unita tra periferia e centro rispetto a oggi. Una Milano dove il figlio di un impiegato bancario, tornato in città dopo lo sfollamento per la guerra, dagli studi di geometra, tramite la voglia di cantare nelle osterie e divertirsi con gli amici sul palco di un locale passa da una 500 comprata con le cambiali a un programma della Rai, per poi cominciare a girare un gran numero di film in pochi anni ed entrare in possesso di una lussuosa Rolls Royce che Gian Marco Moratti gli cede dicendogli che potrà pagargliela quando avrà i soldi necessari.
Non a caso Pozzetto scrive: “La nostra città, allora, era come un teatro immenso, ricchissimo di spunti. Ascoltavi storie interessanti, curiose, romantiche, strambe ogni minuto. E tutto questo in mezzo a gente che voleva integrarsi, che faticava, che, a furia di farsi il mazzo, ce la faceva”.
Una Milano che alla fine convince Pozzetto a lasciare Roma e il cinema per farvi ritorno, dato che sua moglie non voleva andare praticamente mai nella capitale. A Brunella, questo il nome della donna, scomparsa nel 2009, sono dedicate le parole più affettuose del libro. E al secondo posto di questa particolare classifica si trova Enzo Jannacci, un uomo che Pozzetto ammirava davvero e con cui sembra non vedere l’ora di divertirsi ancora nell’aldilà.
Per me che Pozzetto l’ho conosciuto come attore al cinema per poi rivederlo anche nei filmati delle teche Rai, ha fatto un certo effetto scoprire anche il suo lato da “imprenditore”. Nel libro racconta di aver dato vita a una delle prime (se non la prima) aziende per il servizio di elisoccorso. Un certo effetto mi ha anche fatto leggere di come vive e ha vissuto la sua notorietà. Pozzetto scrive: “Penso di aver sempre preso molto seriamente il lavoro. Come un dovere da assolvere, vista la fortuna che mi è capitata nella vita. Questo atteggiamento mi portava a essere molto critico su me stesso. Non mi pare di aver mai ostentato il fatto di essere diventato un attore celebre. Ho sempre avuto difficoltà nel firmare autografi. Cosa che spesso ha fatto arrabbiare i miei figli: mi invitavano a essere più accogliente e disponibile senza capire che per me non era questione di disponibilità ma di imbarazzo nel comportarmi come una persona famosa. È qualcosa che dura ancora adesso. Dovrei essere abituato, invece niente da fare”.
E in effetti forse la cosa che più mi ha colpito arrivato alla fine del libro è dover constatare che una serie di fatti, racconti e vicissitudini “straordinarie” abbiano avuto come protagonista un uomo che sembra non voler altro che una vita “normale”.
Per i più fan, il libro di Pozzetto contiene anche il copione di uno sketch di “Quelli della domenica”, una delle prime apparizioni televisive di Cochi e Renato e viene anche svelata l’origine del celebre “Taac!” diventato uno dei marchi di fabbrica dell’attore, grazie soprattutto al film “Il ragazzo di campagna”, quello che forse è il suo più noto al pubblico. E in appendice al libro Pozzetto offre ai lettori lo script di “Una mucca in Paradiso”, quello che immagina essere il possibile sequel di quel film. Che difficilmente, però, potrebbe avere lo stesso successo.
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