Renato Vallanzasca, ex boss della Comasina condannato all’ergastolo per più delitti deve restare in carcere. A deciderlo è stata la Cassazione respingendo il ricorso presentato dalla difesa di Vallanzasca, attualmente detenuto nel penitenziario di Bollate. Con la loro decisione, gli ermellini hanno confermato quanto già emesso dal Tribunale di sorveglianza di Milano nel giugno dello scorso anno. Vallanzasca ha oggi 71 anni ed aveva chiesto la libertà condizionale o in subordine la semilibertà. Nel 2014, come rammenta il Corriere, aveva fatto ritorno in carcere dopo essere stato arrestato per rapina e aver tentato di rubare alcuni oggetti di scarso valore all’Esselunga di viale Umbria a Milano. In quella circostanza fu fermato dalla vigilanza mentre si trovava in permesso premio e reagì.



Nella sentenza della Cassazione giunta oggi, i giudici hanno evidenziato come Vallanzasca non si sia mai davvero pentito dei suoi crimini al punto da scrivere che i suoi comportamenti non siano “oggettivamente tali da riflettere il definitivo ripudio del passato stile di vita e l’irreversibile accettazione di modelli di condotta normativamente e socialmente conformi”. Già il tribunale di sorveglianza aveva evidenziato la “mancata emersione di atteggiamenti del condannato che segnino, nei confronti delle numerosissime vittime degli innumerevoli e gravissimi reati, anche al di là di risarcimenti di tipo economico, pur possibili alla luce della non seriamente contestata percezione di somme di denaro per pubblicazioni, diritti di autore, anche per lo sfruttamento cine-televisivo dell’esperienza di vita del condannato, un’evidente ed effettiva resipiscenza”.



RENATO VALLANZASCA, CASSAZIONE: RESTA IN CARCERE

Renato Vallanzasca è stato condannato a quattro ergastoli più altre pene detentive ma, ha ricordato la Corte di Cassazione nella sentenza odierna, il suo processo di recupero “non è stato e non è oggi esente da incertezze e profonde contraddizioni, il cui apice è rappresentato dalla non remota recidiva delittuosa e dai complessivi comportamenti “minimizzanti” assunti rispetto ai propri anche recenti comportamenti”. La sua detenzione prolungata, scrivono ancora gli ermellini, e che va avanti più o meno in modo ininterrotto dal 1981, dopo la terza evasione, è stata varie volte interrotta per benefici e misure premiali poi inevitabilmente revocati a causa dei comportamenti devianti del condannato, sicché non può certo dirsi che la privazione della libertà personale sia stata ininterrotta e senza possibilità di anticipata conclusione”. La Cassazione inoltre ha ricordato quanto accaduto nel 2014 quando, messo in semilibertà, si macchiò del reato di rapina confermando la sua “personalità criminale”.

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