Un Renato Zero “speciale” si concede a Vanity Fair in esclusiva in qualità di “domandiere” (sua definizione) e “risponditore” in un’auto-intervista (se così possiamo chiamarla) dalla quale emerge tutto lo spirito “indomabile” di un cantante amatissimo. La prima domanda che Renato Zero rivolge a se stesso è la seguente:”La follia ti ha aiutato o ti ha creato ancora più distacco dalle soluzioni?”. La risposta è complessa:”È essenzialmente un’alleata. Un paio d’ali di scorta quando ti senti compresso. È un modo alternativo di far lavorare la mente. Può essere persino una forma d’arte. La follia non è semplicemente una via di fuga. Anzi, è un modo paraculo di fottere gli scettici e certi intellettuali convinti che la “materia” sia solo grigia”. Renato Zero sembra remare controcorrente in un mondo che viaggia nella direzione dei selfie e dimentica la dimensione umana:”Tanto amo il “contatto umano” che, se non avessi scelto la musica, avrei piazzato un bel banco alimentare al mercato. (…) Sto poco a casa. Ce n’è un po’ per tutti: sorrisi, carezze. Qualche autografo. Ma soprattutto chiacchiere. Si parla così poco di questi tempi, che io sono un po’ preoccupato. Ma non è che ci abitueremo a questo silenzio? Già: – Ti amo – è una faccetta che sputa cuoricini. Figuriamo un po’ in una intera vita insieme quante faccine dovremo spendere per essere credibili e creduti”.



RENATO ZERO: “DROGHE? ALTRO CHE PARADISI, PERSI TANTI AMICI”

Il carattere dirompente di Renato Zero non inganni: il re dei sorcini, come tutti, ha delle paure profonde. Una l’ha svelata proprio nella sua auto-intervista a “Vanity Fair” dicendo di temere “il tempo sprecato o utilizzato male. L’incomprensione che ritarda un abbraccio, un armistizio, la pace. Io ho sofferto molto per la mia solitudine”. Ecco perché forse il suo obiettivo è quello di andarsene “facendo in modo di non lasciare tracce di solitudine negli occhi di chi resta”. Renato Zero torna con la mente a quel “gruppazzo di esclusi” di cui faceva parte al tempo del suo esordio nel mondo dello spettacolo:”Di provenienze diverse. Ma tutti con due domicili stabili: il Piper club e i Commissariati. Colpa ovviamente della drastica scelta che avevamo operato. Io più di tutti, ovviamente. Quella trasformazione mi permise così di uscire dal bozzolo delle convenzioni e dell’ovvietà, per sferrare un colpo deciso a tutte le morali e al falso perbenismo. (…) Anche la stampa ci attaccava. Appena accadeva qualcosa di particolare, erano già pronte le didascalie: Generazione degenere! Nullafacenti e parassiti! Depravati e tossici! Più vado avanti e più gioisco nel non essermi perso dietro acidi, polveri, pasticche, e altri parassiti. Qualcuno li chiamò paradisi. Amplificatori della genialità. Delle facoltà sensitive e creative. Uno stato di beatitudine perenne. Finché non persi tanti di quegli amici…”. L’ultima domanda che Renato Zero si pone è la seguente:”Cosa c’è da dimostrare ancora? I miei anni. Con orgoglio e soddisfazione. È proprio con questa ricchezza di esperienze che il gioco si fa interessante. (…) Oggi ancora scrivo e mi appassiono. Canto, e la voce tiene le note e si presenta ancora integra e genuina. Alla faccia delle piramidi, dei mausolei, del travertino… anche Zero resiste all’usura!“.

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