È stato pubblicato, dopo mesi che se ne parlava, il rapporto sullo Xinjiang a cura di Michelle Bachelet, Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, uno dei massimi enti dell’organizzazione. Si tratta di una serie di accuse contro la feroce repressione in atto nella regione cinese, in particolare contro la minoranza musulmana degli uiguri: “L’entità della detenzione arbitraria e discriminatoria di membri della comunità uigura e di altri gruppi a maggioranza musulmana può equivalere a crimini internazionali, in particolare crimini contro l’umanità”, si legge nel rapporto. Torture, detenzioni senza alcuna accusa reale, violenze sessuali: tutte cose che già si sapevano, ma che finalmente vengono denunciate da uno dei massimi organismi internazionali.
Come ci ha spiegato in questa intervista Massimo Introvigne, sociologo, fondatore del Cesnur e del sito Bitter Winter, “Michelle Bachelet non ci fa una bella figura. Il rapporto era pronto da mesi, ma lei si era sempre rifiutata di renderlo pubblico. Lo ha fatto solo nel suo ultimo giorno di mandato, dopo aver deciso di ritirarsi a vita privata”. Questo rapporto, per quanto abbia fatto infuriare Pechino, “non ha nessuno o pochissimo interesse per il cittadino medio cinese, ben più provato dalla continua applicazione della tolleranza zero al Covid: ancora oggi milioni di persone sono chiuse in casa e le attività economiche sospese. Questo, unitamente alla crisi dei mutui, solleva il malcontento popolare e preoccupa l’apparato politico di Pechino”.
Finalmente è stato reso noto il rapporto dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani sullo Xinjiang: cosa cambia? Ci sarà una maggiore pressione internazionale sui diritti umani in Cina?
Non è la prima volta che agenzie dell’Onu avanzano denunce analoghe, ma questa sicuramente è quella di livello più elevato. Meno di un mese fa l’ufficio che si occupa di violazione sulle norme internazionali del lavoro ha pubblicato un documento sui lavori forzati a cui sono sottoposti gli uiguri. Che sia invece intervenuta un’agenzia di alto rango come questa è un’altra cosa.
Cioè?
Va detto che questo rapporto era pronto da mesi, la signora Bachelet si era però rifiutata di pubblicarlo fino a un’ora prima di andare in pensione.
Perché?
Sosteneva che 900 organizzazioni non governative cinesi dello Xinjiang le avevano chiesto di non pubblicarlo. Noi siamo andati a verificare e abbiamo appurato come la gran parte di queste organizzazioni non esistano nemmeno. Altre sono organizzazioni che si trovano all’estero, ma l’indirizzo corrisponde ad ambasciate o consolati cinesi. La Bachelet ha subìto fortissime pressioni da parte cinese a non pubblicare il rapporto, salvo facendolo quando ha deciso di ritirarsi a vita privata, rinunciando a un rinnovo o ad altri incarichi.
Un comportamento non certo all’altezza del compito.
Si era recata in Xinjiang senza chiedere di visitare alcun campo di detenzione. Nel rapporto non c’è nulla che non si sapesse, ma la cosa importante è che lo dica un ente di primo livello dell’Onu. È come una sorta di timbro finale che conferma come ci siano pulizia etnica, torture, violenze sessuali, detenzioni contro gli uiguri per il solo fatto di essere musulmani.
Cambierà qualcosa?
Sarà difficile adesso per organizzazioni come l’Unione Europea, chiamate a rinnovare trattati economici. Gli Stati Uniti si sono già portati avanti, hanno una legge che collega il livello di rapporti commerciali alla situazione degli uiguri, ma nel resto del mondo nessuno lo ha fatto.
Tutto qui?
Questa dichiarazione delle Nazioni Unite crea un problema anche alla Santa Sede. Durante il concistoro il Papa ha parlato di parecchie situazioni dove sono violati i diritti umani, ma non ha citato lo Xinjiang, evidentemente perché ci sono accordi con la Cina che noi non conosciamo. Però adesso tutte le volte che la Santa Sede parlerà di diritti umani, dimenticarsi di loro diventa più difficile.
In Cina si continua a praticare la tolleranza zero al Covid: milioni di persone sono nuovamente in lockdown. La dichiarazione dell’Onu e il lockdown rendono problematica la leadership di Xi Jinping in vista dell’ormai prossimo congresso del Partito comunista?
Per quanto riguarda l’Onu e le critiche sui diritti umani, queste non hanno nessun effetto sull’apparato del partito. Il lockdown invece sì. Genera malcontento nella popolazione e in chi si occupa di economia. Diversi osservatori dicono che per quanto riguarda il congresso i giochi sono fatti, i congressi sono il timbro su cose già decise prima. Ma alla lunga la talpa scava sotto il terreno anche più solido. In futuro l’amministrazione di Xi sarà in difficoltà non per i diritti umani, ma se la situazione economica continuerà a essere colpita gravemente dalla politica dello zero Covid.
E anche per la crisi dei mutui?
Esatto. La gestione allegra del sistema bancario e dei mutui dovuta a persone corrotte che erano vicine se non imparentate con alti gerarchi del partito, sta provocando parecchio malcontento, perché in Cina non ci sono i paracadute che ci sono in Occidente. Se hai messo i tuoi soldi in una banca che fallisce, li hai persi.
Che quadro prevede?
C’è un malcontento diffuso fa la classe media cinese. Tutti riescono a bucare la muraglia di internet e leggono i media stranieri. Sanno benissimo delle violazioni per i diritti umani, ma non interessa. Sono preoccupati per aver perso i risparmi per una casa che non avranno mai o il negozio chiuso per mesi o per anni causa Covid. Per il congresso di ottobre i giochi sono fatti, mai il malcontento verso il partito sta crescendo.
(Paolo Vites)
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