Il giornalista di Repubblica Paolo Berizzi è stato condannato per diffamazione nei confronti di Stefani Pavesi, consigliere municipale di Milano eletto con la Lega di Matteo Salvini. La vicenda risale al 2016, quando in un articolo del quotidiano Pavesi era stato definito “antisemita”. Il tribunale di Monza, con sentenza numero 1386 di quest’anno, ha appunto condannato il giornalista per diffamazione e l’ex direttore del quotidiano Mario Calabresi per omesso controllo sulla pubblicazione. Gli imputati sono stati anche condannati al pagamento di 600 euro di multa oltre le spese processuali.



Stando a quanto riportato da Libero, che cita il comunicato dalla difesa del consigliere leghista, la difesa degli imputati aveva puntato sulla legittimità della definizione per l’esercizio del diritto di cronaca e di critica durante una campagna elettorale. Ma queste argomentazioni sono state respinte dal giudice della Sezione penale Carmelo Di Paola, che ha riconosciuto come nell’articolo vi fossero da parte del giornalista Paolo Berizzila coscienza e la volontà di utilizzare espressioni potenzialmente offensive dell’altrui reputazione”.



“GIORNALISMO FINALIZZATO A SCREDITARE PERSONE”

Ma ciò è totalmente in contraddizione con la verosimiglianza dei fatti, precisa Libero. Infatti, secondo la sentenza del tribunale di Monza, non si poteva fare alcuna equazione tra l’epiteto attribuito a Stefano Pavesi e la sua appartenenza all’Associazione culturale Lealtà Azione, il cui statuto evidenzia la “matrice prevalentemente culturale ed il perseguimento di scopi che nulla hanno a che vedere con l’ideologia antisemita o nazista”. La difesa che assiste Repubblica e il giornalista intende fare ricorso in appello, invece il consigliere leghista ha espresso soddisfazione per la sentenza. “Restituisce dignità al dibattito politico che in questi anni è stato inquinato da un uso del giornalismo finalizzato a screditare le persone prima che a discutere sui contenuti”. Oltre a ringraziare l’avvocato Antonio Radaelli, Pavesi ha aggiunto che la sentenza rappresenta anche “un importante segnale per tutti coloro che in questi anni hanno subito campagne di discredito perché coerenti nelle battaglie identitarie e sociali” che la sua comunità e il suo movimento portano avanti “senza abbassare la testa”.

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