Un nuovo allarme torna ad affacciarsi in campo sanitario. Lo ha riportato recentemente alla luce la professoressa Evelina Tacconelli, che in una intervista al quotidiano Avvenire ha parlato dei batteri resistenti agli antibiotici che stanno diventando una emergenza mondiale, con l’Italia tra i paesi che corrono maggiori rischi.



Come ci spiega in questa intervista Roberto Cauda, docente di Malattie infettive all’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore dell’Unità operativa di malattie infettive al Policlinico Gemelli, “non si tratta di una novità, ma bene ha fatto la professoressa Tacconelli a diffondere l’argomento a un grande pubblico, perché fino a oggi questo allarme è rimasto confinato alla comunità sanitaria e scientifica, che se ne sta comunque occupando a fondo”. E’ una vera e propria “pandemia silente”, ci ha detto ancora Cauda, “che secondo alcuni studi nel 2050 sarà la causa del maggior numero di vittime al mondo”.



Che tipo di allarme è questo dei batteri resistenti agli antibiotici? Quanto ci dobbiamo preoccupare?

In realtà se ne parla da molti anni. E’ stata definita “pandemia silenziosa”, perché a differenza, ad esempio, di quella causata dal Covid, non se ne parla, ma di fatto questa emergenza è presente tra noi da quando sono stati introdotti gli antibiotici in terapia. Se con il virus del Covid stiamo vedendo che potremo conviverci o che assumerà connotati simili a quelli dell’influenza, se invece non poniamo rimedio alla resistenza agli antibiotici, l’emergenza sarà destinata a durare.



E’ forse causata dall’uso eccessivo uso che facciamo di antibiotici?

Quando si parla di uso eccessivo di antibiotici bisogna chiarire. Gli antibiotici vengono usati in vari campi, dagli esseri umani agli animali come cosiddetti growth promoter, promotori della crescita negli animali da allevamento, allo scopo di migliorare la distribuzione di grassi e proteine e aumentare il tasso di conversione del mangime in muscoli. Proprio per gli effetti negativi che ne sono derivati, nel 1998 vennero messi al bando una serie di antibiotici che utilizzati negli animali determinavano resistenze che poi passavano all’uomo. Va detto però che ad esempio l’uso dell’antibiotico Resistenza è sicuramente cresciuto con la pandemia Covid dal momento che c’è stato soprattutto nelle prime fasi di questa un uso estensivo degli antibiotici peraltro assolutamente non giustificato nella stragrande maggioranza dei casi. Quindi è verosimile che nei prossimi anni avremo un ulteriore aumento che già si sta palesando adesso dell’antibiotico Resistenza legata alla presenza del Covid.

Secondo i dati a disposizione, in Italia solo nel 2015 ci sarebbero stati 11mila morti per la resistenza dei batteri agli antibiotici.

Non c’è paese in cui il problema non esista, in alcuni in misura minore, in altri maggiore. L’antibiotico può determinare forme più difficili da trattare in termini di mortalità, durata delle ospedalizzazioni, difficoltà del trattamento e da ultimo lievitazione dei costi. E’ successo in passato che l’industria farmaceutica producesse nuovi antibiotici man mano che apparivano resistenze, adesso c’è stata una riduzione della vena produttiva.

Ma i batteri che si dimostrano resistenti agli antibiotici quali sono e come si formano?<

Quando si parla di antibiotici, si parla appunto di farmaci che contrastano i batteri, non di anti-virus. Ci sono alcuni batteri resistenti alla penicillina, o gli entero-batteri resistenti ai cardio-anemici, che sono quelli che più coinvolgono la sanità pubblica.

E’ vero che gli ospedali sono i luoghi più a rischio?

Negli ospedali c’è un concentrato di pazienti fragili che fanno terapie antibiotiche, quindi c’è circolazione di batteri. Ma non è che gli ospedali sono a rischio, basta che mettano in atto le misure di controllo delle infezioni, la più importante delle quali è l’igiene delle mani.

Lei ha parlato di messa al bando di alcuni antibiotici: è la strada da seguire?

Intendevo quelli per uso animale. Ricordiamoci sempre che gli antibiotici, insieme ai vaccini e all’igiene, sono uno dei fattori che più ha contribuito all’aumento dell’aspettativa di vita. Una cosa che invece viene detta poco è che la pratica della vaccinazione come prevenzione delle infezioni è un percorso di grande importanza, perché non richiederà più l’uso degli antibiotici.

Non sarà facile di questi tempi proporre una nuova vaccinazione…

Eppure sono stati fatti dei test, ad esempio in Canada, che hanno dimostrato come la vaccinazione anti-pneumococcica – polmonite, meningite, artrite settica e altre –, ha prodotto una riduzione delle infezioni da uso degli antibiotici e dei ceppi resistenti del pneumococco. Facciamo l’esempio dell’influenza. La gente si ammala e prende gli antibiotici, ma quando li si assume, si inserisce nel territorio una quantità di farmaci che hanno una pressione selettiva sui batteri. Se invece si somministra una vaccinazione, si riduce la circolazione dei batteri.

E’ vero che l’Artico, dove lo scioglimento dei ghiacciai riattiva virus e batteri ibernati, aumentando così la possibilità di pandemie, è la zona più a rischio di spillover?

Il problema del permafrost è stato oggetto di una spedizione una ventina di anni fa in cui si cercava la presenza del virus della influenza spagnola nei minatori sepolti dopo l’infezione nelle isole Svetland. E’ una vecchia questione che i batteri possano resistere così a lungo, personalmente non lo credo. Così anche che ci possano essere dei virus che si riattivano. Sono ipotesi, ma mancano le conferme scientifiche. Ripeto: la scelta più moderna e sicura è la vaccinazione come contenimento della diffusione di ceppi resistenti, riducendo così l’uso degli antibiotici.

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