A distanza di due anni dalla sentenza di Appello nell’ambito del caso Resit, Cipriano Chianese è stato condannato anche in Cassazione a 18 anni di carcere con l’accusa di associazione camorristica e avvelenamento di acque. L’avvocato ed imprenditore, come riporta Fatto Quotidiano online, è ritenuto tra coloro che ideò per conto del clan dei Casalesi il sistema delle ecomafie e dello smaltimento illecito dei rifiuti gestito dal boss Francesco Bidognetti. Anche in Cassazione, Chianese è stato ritenuto il responsabile del disastro ambientale che avvenne nella discarica Resit di Giugliano in Campania, in provincia di Napoli che lo stesso gestiva. Qui, con la collaborazione della camorra, venivano portati rifiuti di dubbia provenienza che rischiarono di trasformare la discarica in una bomba ecologica ad orologeria.



Fu considerata storica la sentenza d’Appello del gennaio 2019, giunta in ritardo e che portò alla prescrizione del reato di avvelenamento. Furono invece confermati i reati di associazione camorristica e disastro ambientale con diversi assolti tra gli imputati che furono accusati di aver contribuito a rendere drammatica la situazione della Terra dei fuochi.



CIPRIANO CHIANESE CONDANNATO A 18 ANNI IN CASSAZIONE

Cipriano Chianese era stato arrestato nel 1993 ma poi assolto ed aveva continuato a gestire il traffico illecito di rifiuti. L’anno seguente si era perfino candidato alla Camera con Forza Italia. Fu arrestato poi nel 2006 e successivamente nel 2013. In Cassazione sono state confermate le condanne in Appello anche per la moglie di Chianese, Filomena Menale a 4 anni e mezzo di reclusione; 10 anni per il geometra Remo Alfani e 15 anni per l’imprenditore dei rifiuti Gaetano Cerci. Secondo quanto raccontato da alcuni pentiti avrebbero partecipato insieme ad imprenditori, politici, esponenti della Camorra e della massoneria alla riunione del 1989 a Villaricca in cui si presero accordi sullo smaltimento illecito dei rifiuti tossici dal Nord alle campagne del Casertano e sulla spartizione delle tangenti. La vera consapevolezza del disastro si è avuta solo durante il processo di Appello quando è stata disposta una perizia che confermava la contaminazione che è ancora in atto.

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