Originariamente il “ballon d’essai” era un pallone che veniva lanciato per saggiare le condizioni atmosferiche prima del lancio di una mongolfiera. In termini figuráti ha poi preso il significato di notizia o argomento dato in pasto alla pubblica opinione non perché sia un fatto, ma solo per verificare l’effetto che fa. C’è poi un terzo significato ancora meno benevolo: lanciare l’annuncio di progetti tanto ambiziosi quanto difficilmente realizzabili per mostrare quanto si sia impegnati nello studio di progetti innovativi di grande spessore strategico.



Questo tipo di pallone è quello cui ci ha abituato l’attuale Governo (e anche quelli precedenti, per la verità), basti pensare all’ennesimo annuncio della costruzione del ponte di Messina, e addirittura di un tunnel sotterraneo. Abbiamo già dimenticato l’annuncio di Luigi Di Maio dal balcone di Palazzo Chigi? “Abbiamo abolito la povertà”…



Oggi il nuovo pallone è la cosiddetta Rete Unica per gestire la “banda larga”, con una società costituita da Tim e Cassa depositi e prestiti, ma in cui entrerebbero Open Fiber, Fastweb… e altri che ogni giorno si dicono interessati. Negli ultimi giorni e nelle ultime ore si sono aggiunti anche Mediaset, Sky… ma che c’entrano i produttori di contenuti? Inoltre, si parla insistentemente anche di Rai, che in realtà possiede tramite la consociata Rai Way una notevole catena di torri di trasmissione che potrebbero risultare assai utili per la diffusione del segnale.

Come tutte le questioni che riguardano le telecomunicazioni, l’Italia è sempre vissuta in uno stato di illegalità “concordata” a livello politico – fin dai tempi del famoso decreto Craxi del 1984 che concesse l’autorizzazione a trasmettere alle reti di Berlusconi sull’orlo della chiusura. Da allora si susseguirono tre leggi: la Mammí, la Maccanico e la Gasparri, tuttora in vigore. Ma che la Corte di giustizia europea ha giudicato nei giorni scorsi contraria al diritto dell’Unione.



Ohibò, questa non è una cosa da poco, perché nel frattempo è in atto un contenzioso tra il gruppo francese Vivendi e Mediaset (ne sta tentando la scalata, mentre nel frattempo ha pure una partecipazione in Tim…).

Non si vuole entrare qui in dettagli molto complessi, ma solo sottolineare alcuni punti:

1) Una società che intende gestire la banda larga come servizio pubblico dovrebbe essere costituita da società pubbliche, anche perché si dovrebbe incaricare di portarla anche nei territori più sperduti e non interessanti dal punto di vista commerciale.

2) L’ingresso in una società del genere di soggetti che gestiscono informazione e intrattenimento con quote rilevanti pone non pochi problemi di pluralismo.

3) Tutto questo lancio quasi quotidiano di “ballon” non tiene conto del fatto che assai difficilmente l’Ue concederà l’autorizzazione a procedere a una società del genere, per la presenza di privati che tramite la partecipazione della Cassa depositi e prestiti godrebbero inevitabilmente di aiuti di Stato.

4) La recente sentenza della Corte di giustizia europea che sanziona la legge Gasparri ha poi una importanza politica che sembra sfuggire ai più: dal 1984 si è tollerato in Italia la nascita di un duopolio frutto di un compromesso politico, che improvvisamente l’Ue annuncia di non voler più tollerare. E questo avviene proprio nel momento in cui si annuncia un pastrocchio che viene dato per sicuro soprattutto da chi ci vuole entrare per poter beneficiare dei grandi investimenti che magari potrebbero servire a ridurre colossali indebitamenti…

Cherchez toujours l’argent, diceva il vecchio saggio. Ma è proprio quello che manca, oltre al buon senso. E intanto i palloni volano.