Soltanto un evento straordinario produce conseguenze straordinarie, come quella di trasformare un’idea che aleggia in Italia da almeno 25 anni in un’ipotesi concreta. Ci voleva una pandemia perché le autostrade digitali, che a metà degli anni Novanta  dovevano mettere in comunicazione l’Italia, trovassero un’improvvisa, ma non imprevedibile, ratifica dei consigli di amministrazione di Tim e di Cassa depositi e prestiti, che hanno approvato una lettera d’intenti per creare un’infrastruttura di connettività a banda larga. In parole povere si tratterebbe di cablare in fibra ottica l’intero Paese.



Ora, premesso che siamo soltanto agli inizi e come spesso capita nel nostro Paese potrebbe andare a rotoli tutto in men che non si dica, la scelta appare per nulla malvagia come avevo già scritto qui. Da un lato si metterebbe in moto un intero settore industriale grazie alle risorse del Recovery fund che  sarebbero riversate nel progetto (sostituire il doppino in rame con la fibra ottica richiede aziende e persone che lo facciano), dall’altro il tema del 5G, pur restando significativo, non sarebbe più vitale, determinando un significativa autonomia del nostro Paese rispetto a un partita internazionale molto complicata in cui si fronteggiano Stati Uniti e Cina.



Tuttavia siamo soltanto alle “lettere di intenti” e la strada sarà lunga e non priva di ostacoli burocratici, politici e in generale di equilibri molto difficili da mantenere. La nuova creatura diventerà, insieme alla rete elettrica, l’infrastruttura critica per eccellenza del nostro Paese, una situazione che la metterà al centro di qualsiasi contesa politica e determinerà la necessità per il nostro Stato di avere sempre l’ultima parola sul suo destino. Da questa banale constatazione derivano una serie di inevitabili conseguenze: conciliare le esigenze di mercato e investitori (non dimentichiamo che il fondo d’investimento Kkr parteciperà all’operazione con 1,8 miliardi di euro) con quelle di un governo non è sempre facile; un cambio di maggioranza potrebbe mettere in discussione l’operazione fosse soltanto per qualche inconfessabile interesse privato; ci sono altri operatori telco che potrebbe vivere come un minaccia al loro business questa operazione (un operatore prevalentemente mobile avrebbe solo da perderci).



L’elenco potrebbe essere ancora molto lungo, quindi la strada che porterà ad AccessCo, questo il nome della nuova realtà, appare molto scivolosa e non priva di buche. Personalmente credo che sarebbe una svolta epocale per il nostro Paese che, riuscendo nell’impresa, si regalerebbe un ecosistema tecnologico di primissimo livello, ma anche essenzialmente “autarchico” nel senso migliore del termine. Sarebbe bello, una volta tanto, poter sperare che il nostro Paese in certi tavoli di discussione che caratterizzeranno i prossimi decenni (Internet of Things, telemedicina, ottimizzazione dei consumi energetici) possa scegliere dove sedersi e non aspettare che qualcuno gli dica qual è il suo posto.